Il testo della riforma commentato da Assoarmieri

Assoarmieri, in collaborazione con l’Università di Milano, commenta estesamente la riforma sulla legittima difesa approvata dal Senato Assoarmieri, in collaborazione con l’Università degli studi di Milano e in particolare con la dottoressa Lucrezia Rossi del dipartimento di scienze giuridiche Cesare Beccaria, offre un commento approfondito sul disegno di legge di riforma della normativa sulla legittima difesa, approvato pochi giorni fa in Senato e del quale si attende la discussione alla Camera.

La “difesa sempre legittima”: primo punto centrale del progetto di riforma è un duplice ampliamento della portata applicativa dell’art. 52 c.p:
– il primo correttivo consiste nell’aggiunta dell’avverbio «sempre» nella presunzione del requisito della proporzione del comma 2, che risulta come segue: «sussiste sempre il rapporto di proporzione». L’intento alla base di questa modifica è di trasformare la presunzione da relativa, ossia che ammette la prova contraria, ad assoluta, negando così ogni possibilità all’accusa di provare l’insussistenza del requisito e, allo stesso tempo, togliendo ogni discrezionalità al giudice nel verificarne la presenza. Restano in ogni caso fermi gli ulteriori requisiti previsti dalla norma al co. 1, nonché quelli introdotti dalla riforma del 2006 e indicati al co. 2;
– il secondo intervento, invece, consiste nell’introduzione di un nuovo quarto comma come segue «nei casi di cui al secondo e al terzo comma agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone». Si introduce così una presunzione di tutti i requisiti della legittima difesa, una presunzione che anche in questo caso è da ritenersi assoluta, stante il ricorso all’avverbio “sempre”. La stessa potrà operare solo nei casi di aggressioni nel domicilio (comma 2) e nei luoghi in cui viene esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale (comma 3) e sempre che le modalità dell’aggressione siano quelle indicate, dunque con violenza o minaccia dell’uso delle armi o di altri mezzi di coazione fisica. La verifica circa le modalità dell’aggressione e i luoghi in cui la stessa è avvenuta, è sufficiente a garantire l’applicazione della causa di giustificazione, essendo tutti gli altri requisiti presunti e non residuando un ulteriore spazio di verifica in capo al giudice. La rilevanza della minorata difesa: secondo aspetto fondamentale della riforma è l’intervento sull’art. 55 c.p., ossia l’eccesso colposo nelle cause di giustificazione; si introduce un nuovo secondo comma come segue: «nei casi di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell’articolo 52, la punibilità è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito nelle condizioni di cui all’articolo 61, primo comma, numero 5), ovvero in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto». Si inserisce così una causa di esclusione della punibilità (a rigore della colpevolezza), ossia una norma che rende non punibile una condotta altrimenti penalmente sanzionabile a titolo di colpa. L’applicazione della medesima però, è spazialmente circoscritta ai soli casi di legittima difesa nel domicilio o nei luoghi di lavoro. Inoltre, il legislatore ha deciso di limitarne la portata applicativa ai casi di minorata difesa, da ritenersi tale quando connessa sia a condizioni oggettive esterne, sia a condizioni soggettive dell’aggredito. Infatti, vi è il riferimento non solo alla circostanza aggravante comune di cui all’art. 61 co. 1 n. 5 c.p., ossia i casi in cui l’aggressore ha «profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa», ma anche al turbamento emotivo vissuto dall’aggredito a causa dell’aggressione. Quest’ultimo elemento, ripreso, seppur in maniera diversa, dal disegno di legge Ermini n°3785 della XVII legislatura, comporta una verifica discrezionale del giudice sul turbamento vissuto e sull’influenza che questo ha avuto sulla capacità di giudizio dell’aggredito. Con questa aggiunta il legislatore ha voluto dar rilievo alla maggior vulnerabilità e alla particolare difficoltà in cui versa chi si trova aggredito in tali luoghi, normalmente sinonimo di sicurezza e tranquillità.
L’aumento delle pene: nel progetto di legge è proposto anche un inasprimento delle cornici edittali dei reati contro il patrimonio e l’inviolabilità del domicilio. In particolare:
– l’art. 4 propone per i casi di violazione di domicilio ai sensi dell’art. 614 c.p. i seguenti aumenti: le pene da «sei mesi a tre anni» di reclusione diventano «da uno a quattro anni» per i casi di cui al comma 1, ossia quando qualcuno s’introduce contro la volontà, espressa o tacita, del titolare o clandestinamente o con l’inganno all’interno di un’abitazione o altro luogo di privata dimora o ancora nelle appartenenze di essi. Nei casi del comma 4, quando la violazione avviene con violenza su cose o persone o da parte di persona palesemente armata, la pena originariamente prevista «da uno a cinque anni» di reclusione diventa «da due a sei anni»;
– l’art. 5 propone per i casi di furto in abitazione e furto con strappo ai sensi dell’art. 624 bis c.p. i seguenti aumenti: le pene mutano da «tre a sei anni» di reclusione a «da quattro a sette anni» per i casi di cui al comma 1, ossia furto mediante introduzione in luogo destinato alla privata dimora; la disposizione, e il relativo aumento di pena, è peraltro estesa ai casi del comma 2, ossia furto commesso strappando la cosa mobile di mano o di dosso alla persona, stante il richiamo alla cornice edittale prevista per i casi del comma 1. Per le ipotesi di furto aggravato di cui al comma 3, punito attualmente «da quattro a dieci anni» di reclusione e «da euro 927 a euro 2.000» di multa, diventa rispettivamente «da cinque a dieci anni» e «da euro 1.000 a euro 2.500»;
– l’art. 6, infine, propone per il reato di rapina di cui all’art. 628 c.p. i seguenti aumenti: la pena minima per la rapina non aggravata, di cui al comma 1, passa da «quattro» a «cinque» anni nel minimo; per i casi del comma 3, ossia rapina aggravata, la pena minima della reclusione aumenta da «cinque» a «sei» anni, e muta la cornice edittale della multa «da euro 1.290 a euro 3.098» a «da euro 2.000 a euro 4.000»; infine è disposto un aumento anche per le ipotesi del comma 4, ossia quando concorrono più circostanze aggravanti, il cui minimo della pena passa da «sei» a «sette» anni di reclusione e la multa «da euro 1.538 a euro 3.098» a «da euro 2.500 a euro 4.000».
Il risarcimento del danno e le spese di giustizia: vi sono altresì una serie di disposizioni sia penalistiche sia civilistiche volte a intervenire sull’aspetto prettamente economico della vicenda, favorendo la posizione dell’aggredito. In particolare:
– l’art. 3 del progetto di legge dispone l’aggiunta di un sesto comma all’art. 165 c.p., introducendo così un limite alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena; tale limite opera per i soli casi di condanna per il reato di furto in abitazione e furto con strappo, di cui all’art. 624 bis c.p., e consiste nel necessario previo «pagamento integrale dell’importo dovuto per il risarcimento del danno alla persona offesa»;
– l’art. 7 propone l’introduzione di due nuovi commi all’art. 2044 c.c., secondo cui «non è responsabile chi cagiona il danno per legittima difesa di sé o di altri»; viene introdotta in primo luogo un’esclusione di responsabilità per le ipotesi di cui all’art. 52 co. 2, 3 e 4 c.p., così sostanzialmente ripetendo quanto già sancito dall’attuale 2044 c.c. In secondo luogo, nei casi di eccesso di cui all’art. 55 co. 2 c.p., così come introdotto dallo stesso progetto di legge, la valutazione dell’indennità viene lasciata all’equo apprezzamento del giudice; valutazione che dovrà tener conto «della gravità, delle modalità realizzative e del contributo causale della condotta posta in essere dal danneggiato»;
– l’art. 8, infine, dispone l’introduzione dell’art. 115 bis all’interno del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (D.P.R. 115/2002). L’articolo estende le norme relative al patrocinio a spese dello Stato quando è emesso provvedimento di archiviazione, sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento perché il fatto non costituisce reato sulla base del riconoscimento della causa di giustificazione, precisamente dei commi 2, 3 e 4 dell’art. 52. La disposizione è applicabile anche ai casi di eccesso di cui all’art. 55 co. 2 c.p. solo però a fronte di una sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento perché il fatto non sussiste. È fatta comunque salva la possibilità per lo Stato di ripetere le somme versate nei casi di riapertura delle indagini, revoca o impugnazione della sentenza di non luogo a procedere o impugnazione della sentenza di proscioglimento, a cui segua la pronuncia di una sentenza irrevocabile di condanna.
L’accelerazione dei processi: l’ultima modifica, proposta all’art. 9 del progetto di legge, è l’introduzione della lettera «a-ter» all’interno dell’art. 132 bis disp. att. c.p.p., ossia la norma che indica a quali casi si deve dare priorità assoluta nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi. Così facendo si vorrebbe garantire la precedenza alla trattazione per i processi le cui imputazioni sono per omicidio o lesioni colpose «verificatisi in presenza delle circostanze di cui agli articoli 52, secondo, terzo e quarto comma», ossia legittima difesa nel domicilio o nei luoghi di lavoro e «55, secondo comma, del codice penale» ossia i casi di eccesso non punibile.
Ripercorso punto per punto il contenuto del progetto di riforma, emerge abbastanza agevolmente quella che è l’idea di fondo del legislatore: il ladro e il rapinatore che decidono di entrare nel domicilio altrui lo fanno a proprio rischio e pericolo, violato il “regno” di qualcun altro, imputet sibi ogni conseguenza dannosa. Un’idea che, per molti versi, richiama la teoria della c.d. “castle doctrine” americana, secondo cui ogni privato è “re del proprio castello” e, conseguentemente, ha diritto di esercitare tale dominio senza interferenze esterne.
Senonché, per quanto possa esser meritevole estendere la legittima difesa per dare rilevanza alle particolari situazioni di fatto che caratterizzano questo tipo di aggressioni, quali la paura e il turbamento, va considerato che ogni riforma della legittima difesa deve fare i conti con i principi costituzionali e sovranazionali. Infatti, non solo la Costituzione sancisce la superiorità della vita – anche se del ladro o del rapinatore – sul patrimonio, ma anche la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, all’art. 2 co. 2, giustifica l’uccisione altrui, per fini di difesa, solo quando è assolutamente necessaria. L’eventuale introduzione di una presunzione del requisito della necessità, come nell’attuale progetto di legge, sembra difficilmente conciliabile con tali principi, circostanza, questa, che il Parlamento dovrebbe opportunamente considerare prima dell’approvazione definitiva della legge.
A tal proposito pare utile ricordare che già nel 2006 il legislatore era intervenuto sulla legittima difesa e la giurisprudenza, interpretando la riforma in maniera costituzionalmente conforme, ne aveva limitato fortemente la portata applicativa. L’attuale progetto di riforma rischia di essere un ulteriore tentativo sterile di modifica della causa di giustificazione: quand’anche fosse approvato, infatti, a causa dei dubbi profili di legittimità costituzionale, i giudici cercherebbero di fornire un’interpretazione costituzionalmente conforme, ancora una volta inevitabilmente limitativa della portata applicativa della scriminante, col rischio, ove ciò non fosse possibile, di dover rimettere la questione alla Corte Costituzionale e di una declaratoria di incostituzionalità che ne vanificherebbe gli intenti. Tutto ciò, come si è detto, consiglia, prima che sia troppo tardi, una meditata riflessione da parte del Parlamento: una riforma frettolosa rischia di essere inutile.