Nonostante il decreto 204/2010 e le norme successive, la Cassazione fino a pochi mesi fa non ha mai "ceduto" sulla qualificazione giuridica dei caricatori. Ma finalmente…
Con la sentenza n. 49.274 depositata il 21 novembre 2016 (udienza del 4 luglio 2016), la Cassazione penale, sezione I, ha per la prima volta modificato radicalmente il proprio orientamento sulla qualificazione giuridica dei caricatori, confermando che non sono parti fondamentali d’arma. Nonostante, infatti, l’entrata in vigore del decreto legislativo 204 del 2010, il tribunale di legittimità finora era sempre rimasta imperterrita nel considerare i caricatori, di qualsiasi capacità, come parti fondamentali d’arma.
Con la sentenza in questione, invece, è stata annullata senza rinvio la sentenza d’appello pronunciata nei confronti di un cittadino condannato a 4 mesi di reclusione e 300 euro di multa per aver detenuto “senza averne fatto denuncia all’autorità, all’interno della sua abitazione, un caricatore per pistola calibro 9×21, parte di arma comune da sparo”.
La corte ha correttamente osservato che “1. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
1.1. Occorre procedere, in via preliminare, ad una breve ricognizione del quadro normativo di riferimento. Già dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. 26 ottobre 2010, n. 204, si era ipotizzato che il caricatore per arma comune da sparo non rientrasse tra le parti di arma in senso stretto. Da ciò si inferiva che la vendita, la detenzione ed il porto di esso non fossero punibili, ai sensi della L. 2 ottobre 1967, n. 895.
Parte della giurisprudenza di questa Corte si era, tuttavia, orientata in senso contrario (Sez. 3, sentenza n. 45151 del 14/10/2015 Ud. (dep. 11/11/2015), Rv. 265458; Sez. 6, sentenza n. 16141 del 02/04/2014 Ud. (dep. 11/04/2014), Rv. 259765). Ciò sia perché il decreto legislativo richiamato, nel dare attuazione alla direttiva 91/477/CEE, come modificata dalla direttiva 2008/51/CE, si era limitato ad un elenco esemplificativo delle parti di un'arma; sia perché lo stesso art. 2 della fonte normativa indicata specificava che dovesse essere qualificata come "parte" di arma, "qualsiasi componente o elemento di ricambio specificamente progettato per un'arma da fuoco e indispensabile al suo funzionamento". In detta categoria, si riteneva di includere, appunto, il caricatore di munizioni in tutte le armi – diverse dai revolver o dalle automatiche con nastro di munizioni – non funzionanti se non munite di quel componente essenziale (in questo senso già Sez. 1, n. 39209 del 24/06/2013, P.M. in proc. Zaccaria, Rv. 256770; Sez. 1, n. 36648 del 14/06/2013, Ferrari, Rv. 255802; Sez. 1, n. 27814 del 23/04/2013, Ferrari, Rv. 255877; contra la sola Sez. 1, Sentenza n. 4050/13 del 17/10/2012, Canovari, Rv. 254190).
Con la L. 17 aprile 2015, n. 43, di conversione, con modificazioni, del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7 – recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale nr. 91 del 20 aprile 2015 ed entrata in vigore il 21/4/2015 – sono state apportate ulteriori ed importanti modifiche al quadro normativo di riferimento, modifiche che non permettono di ritenere ancora possibile l'interpretazione richiamata.
Risulta, in primo luogo, interpolato il T.U. di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 38, comma 1, e successive modificazioni. Alla disposizione è stato aggiunto il seguente periodo: "La denuncia è altresì necessaria per i soli caricatori in grado di contenere un numero superiore a 5 colpi per le armi lunghe e un numero superiore a 15 colpi per le armi corte, fermo restando quanto previsto dalla L. 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, comma 2, e successive modificazioni".
Ancora, risulta integrato l'art. 697 c.p., comma 1, norma alla quale, dopo le parole "detiene armi o" risultano inserite le seguenti: "caricatori soggetti a denuncia ai sensi del T.U. di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 38, e successive modificazioni…".
Dal coordinamento del quadro normativo discende che i caricatori per arma comune da sparo sono soggetti ad obbligo di denuncia solo se risultano a più di 5 colpi, per le armi lunghe, ed a più di 15 colpi, per le armi corte, anche se essi sono approvati per armi sportive o per le repliche.
L'eventuale detenzione di essi, pertanto, che risultano gli unici soggetti a denunzia, non è più punita come detenzione di parte di arma (cioè come delitto rilevante ex lege n. 895 del 1967), ma come contravvenzione, secondo il disposto di cui all'art. 697 c.p..
La linea interpretativa segnalata era stata, del resto, già anticipata dal D.Lgs. 29 settembre 2013, n. 121, recante disposizioni integrative e correttive del D.Lgs. 26 ottobre 2010, n. 204, concernente l'attuazione della direttiva 2008/51/CE, che ha integrato la direttiva 91/477/CEE relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi. L'indicato decreto legislativo aveva modificato la L. n. 110 del 1975, art. 2 aggiungendo alla norma vigente ("Salvo che siano destinate alle Forze Armate o ai Corpi armati dello Stato ovvero all'esportazione, non è consentita la fabbricazione, l'introduzione nel territorio dello Stato e la vendita di armi da fuoco corte semiautomatiche o a ripetizione, che sono camerate per il munizionamento nel calibro 9×19 parabellum) la seguente parte testuale: "nonchè di armi comuni da sparo, salvo quanto previsto per quelle per uso sportivo, per le armi antiche e per le repliche di armi antiche, con caricatori o serbatoi, fissi o amovibili, contenenti un numero superiore a 5 colpi per le armi lunghe ed un numero superiore a 15 colpi per le armi corte, nonché di tali caricatori e di ogni dispositivo progettato o adattato per attenuare il rumore causato da uno sparo. Per le repliche di armi antiche è ammesso un numero di colpi non superiore a 10. Nei casi consentiti è richiesta la licenza di cui al T.U. delle leggi di pubblica sicurezza approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 31".
Una specifica disposizione transitoria (art. 6, comma 3 D.Lgs. cit.) ha, poi, previsto che le armi già autorizzate dalle competenti autorità di pubblica sicurezza ovvero sottoposte ad accertamento del Banco nazionale di prova, prima dell'entrata in vigore del decreto da ultimo richiamato, continuassero ad essere legittimamente detenute, di guisa che ne era consentita, senza obbligo di conformazione alle prescrizioni sul limite dei colpi, la cessione a terzi a qualunque titolo nel termine massimo di 24 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto stesso (fino, cioè, al 5 novembre 2015).
2. Ciò posto, dunque, preso atto che il caricatore in contestazione nel presente giudizio risulta accessorio per arma comune da sparo, con numero di colpi non superiore a quindici, deriva che esso non è soggetto ad obbligo di denuncia, per effetto delle modifiche normative segnalate e risulta, pertanto, liberamente detenibile. La sentenza impugnata va, dunque, annullata senza rinvio, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Segue la revoca della confisca disposta e la restituzione del caricatore all'avente diritto”.
Si ringrazia l’avvocato Adele Morelli, referente giuridico del Conarmi