Leggo con poco interesse il pezzo di Margherita D'Amico pubblicato da Repubblica. È sempre la stessa canzone cantata da chi vuole cavalcare l'onda di un animalismo integralista che non ha nulla a che vedere con l’ambientalismo. Le popolazioni di ungulati, censite con metodi concordati con il legislatore e indicati dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), vengono prelevate con proporzioni ben precise che devono consentire la loro conservazione. In buona sostanza si prelevano solo gli interessi di quello che ci piace definire un patrimonio da conservare a qualsiasi costo rendendolo disponibile a tutti. I provvedimenti legislativi della Toscana non sono piaciuti alla totalità delle associazioni venatorie e ambientaliste proprio perché intaccano quel capitale che si doveva conservare. Inoltre non si tratta di caccia ma di controllo, una cosa diversa, regolata da norme che nulla hanno a che vedere con l'attività venatoria. Proprio il caso Toscana dovrebbe far riflettere sul fatto che solo nel Bel paese esiste un conflitto con il mondo agricolo. Forse perché il nostro è uno dei pochissimi Paesi dove i proprietari dei fondi non ricevono alcun introito per la caccia sui terreni di proprietà, del quale secondo me avrebbero diritto.
I parchi sono un altro argomento dolente. Non si caccia al loro interno, ma vengono svolte azioni di controllo da parte di personale dipendente dagli enti che li gestiscono e per una piccola parte da abilitati attraverso percorsi didattici. Se invece fosse possibile una caccia di selezione svolta con l'accompagnamento di una guardiaparco, lo Stato invece di ricevere solo il denaro ricavato dalla vendita della carne, riceverebbe una quota per aver fornito l'accompagnatore, una quota per l'abbattimento e una per il trofeo dell' animale così come avviene in tanti Paesi europei e dove il ricavato viene investito in sorveglianza e miglioramenti ambientali. A proposito, si sappia che l'unica categoria obbligata istituzionalmente a investire denaro in miglioramenti sono i cacciatori.
Anch’io temo gli effetti di una qualsiasi forma di controllo della specie lupo. Nessun corso dovrebbe abilitare semplici cacciatori al controllo. In effetti nei Paesi dove si svolge questa attività, questa pratica è riservata a personale pubblico o a professionisti.
Il lupo negli ultimi anni si è diffuso a un ritmo così rapido da far pensare a fenomeni di ibridazione con cani inselvatichiti che in qualche modo abbiano modificato l'etologia della specie. Mi spiego meglio: negli anni passati, cacciando a ridosso del Parco nazionale tosco emiliano dove da sempre è presente il lupo , ho fatto alcuni incontri e non ho mai temuto per la mia incolumità. Bastava un piccolo colpo di tosse per metterli in fuga e infatti il lupo voleva evitare assolutamente il contatto con l'uomo. Oggi i lupi vengono fotografati lungo le strade, si avvicinano a un mezzo di elisoccorso attirati dal sangue del ferito, attaccano cani domestici durante chiassose battute di caccia. Cosa è cambiato? Gli etologi si stanno occupando del problema e prima o poi formuleranno una risposta su basi scientifiche. Sono certo però che se mai si ritenesse che i cani inselvatichiti giochino un ruolo nell'espansione della specie, ci sarà sempre qualcuno che si opporrà all’inevitabile eliminazione dimenticandosi la tutela della biodiversità del lupo.
Anche la specie cinghiale si è diffusa in maniera esponenziale, ma questo non deve meravigliare . La capacità di incremento della popolazione è stata definita “esplosiva” dai tecnici. Il cinghiale è un animale dalla grande capacità di adattamento, abituato a rifugiarsi in tranquille nicchie di territorio, spesso all'interno di aree protette o parchi anche se fortemente antropizzati per poi vagare di notte al di fuori delle rimesse. Un esempio evidente sono i cinghiali che villeggiano nel parco di Portofino e che possono essere controllati solo con gabbie di cattura. Una battaglia persa dall'uomo in partenza: sono anni che le immissioni sono proibite e solo chi vende caccia potrebbe avere interesse nell'allevare ibridi con il maiale domestico per avere un facile e sicuro guadagno: sequestri in questo senso sono stati eseguiti in provincia di Pavia.
Per quanto riguarda il Parco dello Stelvio sarebbe istruttivo leggere l'articolo di Elenora Vitali pubblicato da Caccia alpina n. 26 del novembre 2014 dove si prendono in considerazione gli effetti del sovraffollamento sulla conservazione della specie. È evidente che parlare di qualità delle carni provenienti dalla fauna selvatica a potenziali vegani è tempo perso, ma si sappia che la strategia evolutiva della specie uomo, nel senso darwiniano del termine, tende verso la parte carnivora dell'alimentazione. Chi vuole remare contro natura è libero di farlo… (Luigi Colli)