La Cassazione continua a sparare a raffica (è il caso di dirlo) sentenze draconiane in materia di armi e munizioni: questa volta si è pronunciata sui bossoli militari (sparati)
Con sentenza n. 4178 depositata il 31 gennaio 2020, la prima sezione penale della corte di Cassazione è tornata ancora una volta a occuparsi di armi e di munizioni, ancora una volta con un provvedimento draconiano che, oltre ad apparire piuttosto sconcertante dal punto di vista logico, evidenzia come anche su questa materia sia necessaria e, anzi, indifferibile una riforma legislativa per eliminare gli effetti più paradossali e grotteschi di una normativa che appare ormai anacronistica.
In sostanza, all’imputato è stata contestata la detenzione di munizioni da guerra (ex art. 2 legge 895/67) perché trovato in possesso di una ventina di bossoli militari sparati, presumibilmente in calibro 7,62 Nato.
La Cassazione ha confermato la condanna espressa nei precedenti gradi di giudizio, con la seguente motivazione:
“La giurisprudenza costante di questa Corte, anche recentemente ribadita, afferma che configura il reato di cui alla L. 2 ottobre 1967, n. 895, art. 2 la detenzione di bossoli, anche se esplosi, relativi a munizioni da guerra, non essendo necessario che si tratti di munizioni atte all’impiego, dovendosi invece considerare sufficiente la loro originaria e normale destinazione (da ultimo, Sez. 1, n. 15086 del 19/06/2018 – dep. 05/04/2019, Dimitri, Rv. 276389).
In effetti, in base alla L. n. 110 del 1975, art. 1, comma 3, sono munizioni da guerra le cartucce e i relativi bossoli, i proiettili o parti di essi destinati al caricamento delle armi da guerra. Quindi, la qualità di munizione da guerra è collegata alla sua destinazione originaria che, nel caso di specie, non è in contestazione”.
Tra le motivazioni addotte dalla difesa, c’era anche la famosa circolare emanata nel 1999 dal ministero dell’Interno. Anche in questo caso la Cassazione ha rigettato la questione, argomentando che “La sentenza da ultimo citata affrontava anche la rilevanza della circolare del Ministero degli Interni menzionata nel ricorso, con una motivazione che appare opportuno riportare: “Nessun profilo di illegittimità può, poi, fondatamente ravvisarsi nella sentenza impugnata, per avere i giudici di merito implicitamente ritenuto non decisive le osservazioni espresse dall’evocata circolare del Ministero dell’Interno (n. 559/C-50,133-E.99), secondo cui il bossolo esploso di arma portatile da guerra non può essere considerato parte di munizione di arma da guerra perché non sarebbe più destinabile al caricamento di armi da guerra. Una circolare ministeriale, così come formulata, non può derogare né svolgere una funzione integratrice della nozione di munizione da guerra contenuta nella norma di rango superiore, quale è quella di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 1, comma 3, né efficacemente contrastare la consolidata interpretazione fornitane da questa Corte regolatrice che ha ripetutamente spiegato come, per la configurazione del reato di detenzione di munizioni da guerra, non sia necessario che esse siano atte all’impiego, dovendosi prescindere dalla loro efficienza e considerare sufficiente la loro originaria e normale destinazione (tra le molte: Sez. 1, n. 23613 del 09/04/2014, Palumbo, Rv. 259619; Sez. 1, n. 35106 del 31/05/2011, Fanale, Rv. 250788; in termini, quanto alla detenzione di bossoli esplosi relativi a munizioni da guerra: Sez. 1,n. 22655 del 21/02/2008, Martini, Rv. 240402). La buona fede dell’imputato, infine, altro non è che ignoranza della legge penale”.
La Cassazione a nostro avviso ha torto e per più di una ragione. Innanzi tutto è abbastanza evidente che in base alla famosa circolare del 1999, ormai da decenni l’amministrazione militare provvede all’alienazione dei bossoli di risulta delle esercitazioni con procedura ordinaria di messa all’incanto e acquisto da parte di soggetti imprenditoriali (i cosiddetti “rottamai”) che non sono assolutamente in possesso delle licenze previste per la produzione e il commercio di armi o munizioni da guerra. Di conseguenza se la circolare in oggetto non avesse validità alcuna, ovviamente bisognerebbe processare sull’istante tutta la catena di comando militare, dal Capo di Stato maggiore a scendere fino all’ultimo sergente, coinvolta nella cessione dei bossoli in oggetto, così come bisognerebbe arrestare e processare tutti i “rottamai” in questione. Poiché questo negli ultimi vent’anni non si è verificato, appare altrettanto evidente che si debbano processare per omissione in atti d’ufficio (essendo tra l’altro conclamata e pubblicamente nota la situazione) tutte le autorità di pubblica sicurezza territorialmente competenti in relazione al “traffico” dei bossoli in questione tra l’amministrazione militare e i rottamai. Insomma, una guerra civile a colpi di procure e carte bollate.
Al di là degli esempi limite, che vanno presi per quello che sono, non si può sottacere il fatto che la circolare in sé non è altro che un mezzo per dare pubblicità a un ben preciso parere dell’allora commissione consultiva centrale per il controllo delle armi, unico ente all’epoca (cioè fino al 2011) previsto a livello normativo (dall’articolo 6 della legge 110/75) per fornire pareri tecnici in merito a “tutte le questioni di carattere generale e normativo relative alle armi e alle misure di sicurezza per quanto riguarda la fabbricazione, la riparazione, il deposito, la custodia, il commercio, l’importazione, l’esportazione, la detenzione, la raccolta, la collezione, il trasporto e l’uso delle armi”. Appare piuttosto evidente che la definizione di quando un bossolo militare sia, o non sia, destinato “al caricamento delle armi da guerra” (secondo quanto previsto dall’ultimo comma dell’articolo 1 della legge 110/75) non può essere ottenuta da un giudice, bensì debba essere ottenuta da un organismo tecnico. L’organismo tecnico preposto allo scopo, e allo scopo interpellato, era la commissione consultiva centrale per il controllo delle armi, la quale ha fornito quindi una definizione di quando un bossolo militare non sia più idoneo al “caricamento” delle armi da guerra. Punto. È quindi del tutto irrilevante che tale parere sia stato “incluso” in una circolare ministeriale (la quale, è opportuno ricordarlo, ha peraltro determinato la condotta del ministero della Difesa degli ultimi vent’anni perlomeno).
Resta di tutta evidenza che una interpretazione rigoristica dell’articolo 1 della legge 110/75, oltre ad avere risvolti decisamente grotteschi e in contrasto con quella che è la quotidianità del mondo reale, va a incidere in modo assolutamente inutile su oggetti la cui pericolosità tecnica e sociale è pari allo zero spaccato. Se si parla, infatti, di armi da guerra in calibri “promiscui” (cioè utilizzabili anche in armi civili), come il 5,56 mm e il 7,62 mm Nato, appare di tutta evidenza che nel momento in cui si volesse caricarsi in casa munizioni per alimentare le suddette armi da guerra, sarebbe del tutto la stessa cosa se si utilizzassero bossoli civili. Allo stesso modo, utilizzare bossoli militari acquistati dal rottamaio per caricare munizioni destinate ad armi comuni da sparo, non rende “da guerra” le suddette munizioni, né tantomeno rende “da guerra” le armi che le sparano.
Resta di tutta evidenza che purtroppo sempre più spesso i supremi giudici di legittimità decidono sulla base di formulazioni giuridiche astratte che sono completamente avulse non solo dalla realtà, ma anche dall’elemento tecnico (vedasi la questione delle palle “camiciate”). Non resta, quindi, che auspicare un intervento legislativo che renda più chiara, comprensibile e aderente alla realtà del quotidiano la norma, che così come è appare decisamente anacronistica.
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