Con la sentenza del 9 maggio, la Corte costituzionale respinge la questione di costituzionalità sull’art. 43 Tulps. Ma nelle motivazioni è contenuta anche una importante affermazione per il nostro settore. Quale?
La Corte costituzionale si è pronunciata con sentenza n. 109 del 9 maggio 2019 sui motivi ostativi al rilascio del porto d’armi ex art. 43 Tulps. La questione di costituzionalità, sollevata dai Tar di Toscana e Friuli Venezia Giulia, tendeva a valutare se un condannato per un furto compiuto molto tempo prima, essendo ormai anche intervenuta la riabilitazione, potesse ricevere “automaticamente” un diniego al rilascio o al rinnovo di un porto d’armi o se, invece, la valutazione fosse soggetta al vaglio discrezionale dell’autorità di pubblica sicurezza. La corte ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai due Tar, con una motivazione piuttosto articolata e complessa, ma ciò che in questa sede preme maggiormente sottolineare è che la stessa Corte costituzionale riconosce che la nuova formulazione dell’articolo 43 introdotta con il decreto legislativo 104 del 2018 costituisce una attenuazione del rigore della formulazione originaria. Infatti il “vecchio” art. 43 Tulps, secondo comma, diceva che “la licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi”, mentre l’attuale formulazione chiarisce che “la licenza può essere ricusata anche ai soggetti di cui al primo comma qualora sia intervenuta riabilitazione”.
“La modifica normativa”, scrivono i giudici costituzionali, “attenua dunque la rigidità della preclusione posta dal primo comma dell’art. 43 nei confronti di chi abbia riportato condanne per i delitti ivi menzionati, ripristinando un potere discrezionale dell'autorità amministrativa nella valutazione dei presupposti della concessione della licenza di portare armi allorché il condannato abbia ottenuto la riabilitazione ai sensi dell'art. 178 del codice penale”.
Il rigetto della questione di costituzionalità, tuttavia, è stato determinato dal fatto che “In virtù del principio tempus regit actum…(omissis)… una normativa sopravvenuta rispetto all'adozione dei provvedimenti amministrativi impugnati non può spiegare effetti nei giudizi di impugnazione dei provvedimenti stessi”.
Quindi per la questione di costituzionalità presentata dai due Tar è un rigetto, ma per quanto riguarda l’attuale normativa c’è un importante riconoscimento da parte della Corte costituzionale sul fatto che la disciplina è meno rigoristica rispetto alla data anteriore rispetto all’entrata in vigore del decreto legislativo 104 del 2018. Quindi, in pratica, la stessa corte costituzionale riconosce che la situazione è già differente rispetto a quella "congelata" nel momento in cui i due Tar hanno promosso il giudizio davanti alla Consulta.
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