Curioso articolo apparso su VicenzaPiù, nel quale si prefigura una teoria affascinante: a opporsi ai pagamenti digitali, propugnando il contante, sarebbe la lobby delle armi!
Ricordate il vecchio detto “piove, governo ladro”? Roba vecchia. Sorpassata, obsoleta. Da un po’ di tempo a questa parte, infatti, sembra che la colpa di qualsiasi cosa si verifichi, o non si verifichi, in Italia sia colpa della famigerata (e fantomatica) “lobby” delle armi. Il più recente esempio di questa teoria lo fornisce un recente articolo pubblicato su VicenzaPiù, avanzando un ardito parallelismo in materia di pagamenti digitali. Come è noto, infatti, nelle ultime settimane si è fatto un gran parlare sulla necessità di incentivare l’utilizzo dei pagamenti digitali come misura per l’emersione dell’economia sommersa e in nero, con (peraltro) il levarsi di numerose voci contrarie, sia per ragioni eminentemente di libertà personale, sia anche in funzione del fatto che, secondo alcuni, l’obbligo di avvalersi dei pagamenti digitali avrebbe comportato costi e penalizzazioni in particolare per le fasce economiche più deboli. Secondo il quotidiano on-line veneto, invece, a portare avanti la lotta nei confronti dei bancomat e delle carte di credito, attraverso evidentemente opportuni portavoce politici imbeccati a bella posta, sarebbe nientemeno che la “lobby” delle armi. La motivazione è di sconcertante linearità: “Se non ci fossero più rapine (o quasi più) si venderebbero ancora armi per “legittima difesa”? Non vi ricorda qualcosa l’idea che l’industria maggiormente interessata alla legittima difesa sia quella che vende armi? La privacy più importante delle vite umane?”. Per poi chiosare trionfalmente che “Forse non solo negli Usa di Trump la lobby delle armi lavora metodicamente per rendersi indispensabile e ha i suoi politici di riferimento”.
Il complottismo di chi vorrebbe che l’uomo non sia in realtà mai andato sulla luna? La dietrologia delle “scie chimiche”? Roba da dilettanti al confronto! Sarebbe bello, volendo chiacchierare in modo ameno di deontologia professionale, capire quali elementi fattuali (dichiarazioni ufficiali, “whistleblower” eccetera…) possano aver condotto il giornalista a lanciarsi in queste considerazioni che, alla fin fine, sono accuse piuttosto pesanti nei confronti dei rappresentanti delle categorie professionali (produttori, ma anche armerie eccetera) e che, di conseguenza, sarebbe quantomeno logico abbiano un substrato di concretezza.
Ogni ulteriore considerazione e ogni ulteriore commento sono, a questo punto, superlfui: come si dice in questi casi “e niente, fa già ridere così”…
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