Grazie all’impegno profuso dal presidente del Tsn di Zevio (Vr), Paolo Ambrosoni, lo scorso 22 maggio l’europarlamentare leghista Lorenzo Fontana ha proposto al Parlamento europeo una interrogazione con richiesta di risposta scritta, concernente le recenti evoluzioni della normativa sui caricatori e, in particolare, la loro congruità con le direttive europee.
L’interrogazione, infatti, chiede: “La direttiva 91/477/CEE (quale modificata dalla direttiva 2008/51/CE sul controllo delle armi) liberalizza i caricatori per le armi comuni da fuoco, considerati non più parti dell'arma, ma accessori. Con il decreto legislativo 26 ottobre 2010, n. 204, l'Italia ha recepito queste disposizioni. Il decreto legislativo 29 settembre 2013, n. 121, ha modificato la norma e vietato i caricatori oltre un certo numero di colpi (5 per le armi lunghe, 15 per le armi corte, con eccezioni per le armi sportive). I caricatori vietati non possono più essere detenuti. Il decreto antiterrorismo del 18 febbraio 2015, n. 7, ha reintrodotto l'obbligo della denunzia dei caricatori vietati che, a partire dal novembre 2015, non potranno più essere venduti fra privati. Gli armieri possono continuare a venderli senza controllo. Chiaramente queste disposizioni introducono restrizioni alla normativa europea sugli accessori di arma con norme confuse, non comprensibili per i cittadini europei, a rischio di contestazioni penali per aver introdotto in Italia armi con caricatore non a norma, ma legale nel resto d'Europa. Inoltre limita la possibilità di acquistare armi in altri paesi europei, se non hanno un caricatore a norma. Considerando la complessità della questione, che crea notevoli disagi in Italia, può la Commissione predisporre una valutazione della normativa in oggetto e del recepimento della direttiva europea?”.
Pochi giorni fa, il Parlamento europeo si è pronunciato sull’interrogazione, precisando che anche se “rientra nel potere discrezionale dell’Italia introdurre al riguardo norme più severe che i cittadini sono tenuti a rispettare sul territorio italiano”, tali misure più severe “dovrebbero tuttavia essere analizzate alla luce degli articoli 34 e 36 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea”, concludendo che “la Commissione intende effettuare tale valutazione”.
Nel caso in cui i provvedimenti adottati dal governo italiano (ispirati dal ministero dell’Interno) dovessero essere riconosciuti in contrasto in particolare con l’articolo 34 del Tfue (restrizioni all’importazione), potrebbe profilarsi una procedura di infrazione per l’Italia che, quindi, sarebbe costretta a tornare sui propri passi.