Sospiro di sollievo? Certo, ma sarebbe doveroso analizzare a fondo l’accaduto alla caccia di sempre più efficaci strumenti di mitigazione del rischio…
Il sequestro dell’autobus pieno di ragazzini e il suo successivo incendio, a opera dell’autista Ousseynou Sy, è stato in tutta fretta trasformato in un near-miss accident, ovvero un disastro scampato, e ogni commentatore si è affrettato a individuare tutti i fattori che hanno concorso a contenere la tragedia e, primi fra tutti: l’eroismo del ragazzino che, con la complicità dei compagni, è riuscito ad occultare un cellulare ed allertare il 112; l’eroismo dei carabinieri intervenuti e in particolare dell’operatore che, frantumando il vetro, ha cominciato a estrarre i ragazzi.
Tutto vero e onori più che meritati. Non altrettanto motivato, però, il generale “sospiro di sollievo” che tutto il Paese sta tirando sulla vicenda. Non c’è proprio nulla di rasserenante, se non – ci mancherebbe altro – la vita dei 50 ragazzini fatta salva dallo stesso attentatore, l’autista Ousseynou Sy.
Proprio così. A un analista della sicurezza non può sfuggire che l’episodio contiene tutti gli elementi essenziali che lo connotano come atto terroristico: diffondere il panico (terrore), attraverso il senso di impotenza davanti a un atto ad alto impatto emotivo, per ottenere un fine politico (dichiarato: far cessare le morti nel Mediterraneo).
Sia chiaro: un atto terroristico non significa per forza che il suo autore sia legato o faccia parte di una rete terroristica (e sembra proprio che Ousseynou Sy non abbia alcun legame con organizzazioni terroristiche strutturate), ma è chiaro come il suo gesto rappresenti un vero e proprio attacco terroristico, se è vero che un atto terroristico è un “atto di forza che ho per scopo di costringere l’avversario a sottomettersi a nostra volontà” (Clausewitz).
Solo la volontà dell’attentatore di limitare gli strumenti all’incendio del mezzo e non spingersi fino all’uccisione dei ragazzi ha salvato la vita di questi ultimi: se avesse inteso ucciderli, infatti, gli sarebbe bastato qualcosa di molto più semplice. Nelle dichiarazioni successive all’arresto, infatti, Ousseynou Sy ha sostenuto di essere stato mosso dall’intenzione di attirare l’attenzione con un gesto plateale (principio base del terrorismo è raggiungere il massimo risultato con il minimo sforzo) e dare alle fiamme un bus lo è eccome. E ha sostenuto di aver compiuto il gesto per attirare l’attenzione sul rischio di morte connesso all’emigrazione dall’Africa sulla rotta mediterranea. Infine, di non aver mai avuto intenzione di uccidere i ragazzini…
Viene proprio da credergli. Così, a caldo, pare il gesto di un uomo slegato da qualsiasi rete criminale/terroristica, esasperato per moti interni dalle morti di gente emigrata come lui. Un uomo del quale i conoscenti dicono essere pacifico, non in grado di uccidere 50 ragazzini, né – sembrerebbe – radicalizzato islamista. Ha comunque gettato terrore, assolutamente centrando il suo scopo, con le modalità tipiche di qualsiasi atto terroristico e dimostrandoci drammaticamente la vulnerabilità della nostra società.
Occorre innalzare ogni livello di sicurezza, ma sempre tenendo a mente e mettendo in conto che, per quanto si faccia e si debba fare, la protezione segue sempre di un passo l’offesa. Una nuova modalità o un nuovo strumento di attacco costringono la difesa ad adeguarsi, fino alla comparsa di un ulteriore nuova modalità o nuovo strumento di attacco…
Queste considerazioni, naturalmente, nulla tolgono al coraggio e all’eroismo dei ragazzini e dei carabinieri. Ci devono solamente far ritenere che, se Ousseynou Sy avesse voluto o se qualcun altro in futuro vorrà, ci saranno altri autobus, altri ragazzini, altri target più che vulnerabili da attaccare.
Nel frattempo sarebbe doveroso analizzare a fondo l’accaduto alla caccia di sempre più efficaci strumenti di mitigazione del rischio. Se, invece, vogliamo tornare sereni tutti a mangiare pastasciutta a mezzogiorno e a guardare la partita la domenica come nulla fosse… come non detto.