Su Africa Express è comparsa una notizia a firma di Sandro Pintus che mette in evidenza il diniego che l’Unione europea ha manifestato nei confronti della Tanzania per quello che riguarda i finanziamenti per la conservazione della Natura. Si parla di ben 18 milioni di euro che sarebbero stati, invece, dirottati verso il Kenya. L’accusa riguarda il mancato rispetto dei diritti umani, come prevede il progetto “NaturAfrica”, più precisamente la presunta espulsione dei Masai dai territori da loro sempre abitati “per far spazio al turismo della conservazione e alla caccia ai trofei”. Caroline Pearce, Direttrice generale di survival international, parla di “furto brutale” e che in tal modo si “creano aree protette come parchi nazionali e zone di caccia ai trofei con la complicità di Wwf e Frankfurt zoological society (Fzs)”. Sembra che le continue violenze per l’attuazione di questi sfratti non siano state condannate dalle due associazioni ambientaliste, che da anni collaborano col governo tanzaniano per la conservazione. Sempre secondo la Pierce, gli spostamenti dei Masai “serviranno a creare nuove aree di caccia ai trofei per la famiglia reale di Dubai”.
La stessa Pearce, tuttavia, ha dato subito dopo una notizia che evidenzia un altro problema, in parziale contraddizione con il precedente: infatti negli ultimi decenni la popolazione Masai è più che raddoppiata, arrivando a circa 200.000 persone. Territori e fauna salvaguardati cozzano naturalmente con la sovrappopolazione umana, vero problema di tutte le aree naturali, ma in generale in moltissime nazioni, oltretutto le più povere. Infatti la presidente della Tanzania, Samia Suluhu Hassan, all’atto del suo insediamento, aveva dichiarato “…Avevamo concordato che le persone e la fauna selvatica potessero convivere, ma ora il numero delle persone sta superando quello della fauna selvatica”. Parole incontestabili, che abbiamo evidenziato proprio parlando della situazione venutasi a creare nel Parco kenyano Masai Mara, in cui la sovrappopolazione dei turisti sta decretando l’impossibilità di mantenere una fauna naturale.
Oltretutto il popolo Masai è prettamente composto da allevatori bradi e l’eccessiva presenza cozza pesantemente con la presenza stessa dei predatori, che spesso incappano in esche avvelenate predisposte proprio dai pastori. L’Europa, che ha deciso questo declassamento nei confronti della Tanzania, ancora si ostina a non capire che l’Africa ha tra i suoi patrimoni più importanti proprio la fauna selvatica. La quale se gestita, e venduta con abbattimenti mirati che tanti altri Stati, Kenya compreso, fanno ugualmente perché non si possono tenere territori troppo densamente popolati da specie più forti a danno delle più deboli, porta tanti soldi (compresi, certo, quelli della famiglia reale di Dubai) che possono fornire le risorse per salvare fauna e territori. Certo che le popolazioni selvatiche vanno salvaguardate, magari però inserite nel turismo venatorio qualificato e non desertificando il territorio con allevamento brado intensivo che toglie di mezzo, perché scomodo, qualunque animale “in competizione”. Quello che ci ha meravigliato è che il Wwf viene accusato di partecipare a queste gestioni del territorio, accettando anche una caccia controllata negli stessi territori protetti. In effetti la contrarietà di tale associazione nei confronti dell’attività venatoria è tipicamente italiano, in altri Paesi non è così osteggiata. In uno dei nostri primi Safari in Zimbabwe ci dicevano i vari professionisti che il numero dei capi cacciabili era proprio deciso e monitorato dal Wwf locale. Il Presidente per molti anni è stato un grandissimo cacciatore, come il Duca di Edimburgo. Ma da noi l’associazione, dai tempi dei Fulco Pratesi, ha sempre costruito consensi e introiti osteggiando in ogni modo il settore venatorio.