Il russo Vladimir Lisin è il nuovo numero uno della federazione internazionale del tiro. Nell’urna di Monaco di Baviera, beffato per soli quattro voti Luciano Rossi
Presidente Lisin, il tiro è uno sport che vanta una grande tradizione e una storia profonda (non a caso lo stesso Pierre De Coubertin era un tiratore). Che cosa intende fare nei prossimi anni per salvaguardare la grande tradizione del tiro sportivo?
«Per essere popolare e in parallelo per preservare le proprie tradizioni, ogni disciplina sportiva dovrebbe esercitare una forte attrazione sul grande pubblico. Indiscutibilmente, il tiro sportivo è molto attraente per coloro che già praticano il tiro stesso. Ma sarebbe un errore porre dei limiti a noi stessi, rimanendo appunto confinati nel bacino di tiratori che già popolano i nostri club di tiro. Dobbiamo ampliare la nostra platea, essere attraenti e spettacolari, in particolar modo, nei confronti del pubblico giovane».
Negli ultimi anni il laser e, in generale, i dispositivi di simulazione del tiro sono stati oggetto di aspre dispute. Pensa che in futuro il laser soppianterà il tiro tradizionale? O potrebbe risultare l’espediente per rendere il tiro più popolare o addirittura per salvarlo?
«No, decisamente non sono favorevole al laser o ad altri dispositivi che imitano il tiro originale. Suona un po’ come la birra analcolica o il silicone…».
Si potrà fare qualche cosa per riammettere alle Olimpiadi alcune specialità soppresse come il Double trap o altre del comparto Tiro a segno di carabina e pistola?
«I miei tentativi di rilanciare quelle discipline in Europa hanno dimostrato che in quelle stesse specialità la parità di genere è irrealizzabile e, oltretutto, in molte di quelle discipline il numero dei praticanti sta drasticamente diminuendo. Certamente, un ripristino di alcune discipline potrebbe avvenire, a condizione che da parte dei promotori di questa operazione non si utilizzi il termine “vogliamo”, ma si suggerisca piuttosto come quel ripristino possa avvenire».
Il tiro del futuro ha bisogno di giovani e delle nazioni emergenti. Quali saranno i suoi provvedimenti su questo tema?
«Ho dato vita all’Issf development fund con un budget di dieci milioni di dollari per i prossimi quattro anni e questa dotazione sarà impiegata principalmente proprio per cercare di realizzare questi obiettivi».
Nella Issf che è uscita dalle urne dell’assemblea del 30 novembre scorso ci sono pochi italiani, ma l’Italia ha una grande tradizione di eccellenza nel tiro, sia dal punto di vista delle medaglie olimpiche conquistate e del valore degli atleti sia dal punto di vista della capacità di organizzazione degli eventi e del settore industriale. Quale potrà essere il ruolo del nostro Paese nell’Issf del futuro?
«In Italia si concentra il maggior numero di aziende del comparto industriale delle armi per il tiro. Immagino che l’industria italiana vorrà aderire all’iniziativa del Development fund non soltanto per incrementarlo, ma anche per contribuire ulteriormente al suo sviluppo, quantomeno in Europa».
Cina, India, Brasile e anche Russia, che lei conosce molto bene: parliamo delle nazioni più grandi del mondo, ma anche di nazioni con economie crescenti e con una popolazione immensa. E parliamo soprattutto di nazioni che in anni recenti hanno ospitato Campionati del mondo e prove del circuito di Coppa del mondo. Ma il tiro è realmente cresciuto e sta di fatto crescendo in queste nazioni? Ci sono davvero grandi quantità di tiratori in Paesi come la Cina, l’India, il Brasile, la Russia?
«Secondo le informazioni di cui dispongo, ci sono seimila persone che partecipano al Campionato nazionale di tiro in India. Non certo di meno in Cina. La popolazione della Russia è praticamente la decima parte della popolazione di questi due Paesi messi insieme e, quindi, il numero dei tiratori rispetta più o meno quella proporzione. Nei fatti, però, queste nazioni ottengono vittorie non per effetto del numero dei tiratori, ma per le capacità di quelli».
Nel mondo di oggi, la stretta contiguità tra gli sport del tiro e la caccia è un freno allo sviluppo dei primi? O rappresenta comunque un vantaggio?
«Se la caccia fosse messa al bando in tutto il mondo, in breve tempo sarebbe proprio il mondo animale, per esempio sia in Europa sia in Africa, a collassare. Il mondo animale necessita sia di attività conservative sia di provvedimenti mirati all’equilibrio. L’attività venatoria correttamente svolta secondo la legge e il tiro sportivo sono due pratiche correlate. Ci sono tiratori che amano la caccia, così come cacciatori che non hanno mai sviluppato alcun interesse per il tiro sportivo. Ma si tratta, comunque, di due categorie che nutrono un profondo e reciproco rispetto».
Quando ha scoperto il tiro nella sua vita e dove lo ha praticato per la prima volta? Qual è la disciplina del tiro che ama di più?
«Ho iniziato a sparare all’età di dodici anni, in Siberia. Praticavamo il tiro in una struttura quasi all’aperto. E potevamo esercitare il tiro solo se il termometro non scendeva al di sotto di 25 °C sotto lo zero! Prima ho praticato il tiro con la carabina e, in età più matura, anche il Tiro a volo. Quanto alla mia disciplina preferita, mi si permetta di dire che la domanda è mal posta, perché sarebbe come chiedere di designare il figlio preferito nella propria famiglia…».
C’è una disciplina del tiro, attualmente non inclusa nel programma olimpico, che trasformerebbe immediatamente in disciplina a cinque cerchi?
«Se davvero potessi, porterei subito alle Olimpiadi dieci o quindici gare di tiro, in aggiunta a quelle già esistenti! Ma mi corre l’obbligo di ricordare che la decisione di includere nuove discipline nel programma olimpico è demandata al Comitato olimpico internazionale di concerto con il comitato organizzatore dei Paesi che ospitano i Giochi. Tutto dipende dal grado di popolarità e di diffusione di una disciplina. E, comunque, com’è noto, il numero di partecipanti alle Olimpiadi è circoscritto in tutti gli sport, altrimenti per far svolgere ogni edizione impiegheremmo mesi!».