Mercoledì 22 settembre 2010 — 15 — Commissione I
Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2008/51/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, che modifica la direttiva 91/477/CEE del Consiglio, relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi.
Atto n. 236.
(Seguito dell’esame e rinvio).
La Commissione prosegue l’esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 21 settembre 2010.
Donato BRUNO, presidente, ricorda che nella giornata di ieri la Commissione ha ascoltato in audizione i rappresentanti delle diverse associazioni di categoria interessate dal provvedimento e che il parere al Governo dovrà essere espresso, secondo quanto convenuto con il Governo stesso, entro giovedì 30 settembre.
Carlo NOLA (PdL) rileva come i rappresentanti delle diverse associazioni di imprese produttrici e di utilizzatori di armi per usi sportivi ascoltate nella giornata di ieri abbiano manifestato l’impressione che lo schema di decreto in esame nasconda un intento punitivo nei loro confronti. Si tratta senza dubbio di un’impressione priva di fondamento e per questo invita il Governo a rivedere le disposizioni del provvedimento che determinano a carico dei destinatari appesantimenti burocratici non giustificati dalla finalità della direttiva europea, che è quella di incrementare la sicurezza pubblica e di limitare i rischi derivanti dall’uso illegale delle armi. In particolare, ritiene necessario rivedere l’articolo 3, comma 1, lettera g) dello schema di decreto, che assoggetta l’attività di ricarica delle munizioni all’obbligo di acquisizione di uno specifico provvedimento abilitativo: premesso infatti che si tratta di un’attività che quasi tutti coloro che impiegano armi per usi sportivi compiono da sé, imporre l’acquisizione di una licenza per la ricarica di munizioni a soggetti che sono già in possesso di titoli abilitativi per l’uso delle armi e che hanno quindi comprovata dimestichezza con le munizioni, appare non solo inutile, ma vessatorio; senza contare poi che la materia degli esplosivi non è oggetto della direttiva che il decreto legislativo è chiamato a recepire. Richiamato quindi l’articolo 5, comma 1, lettera f), che vieta la sostituzione della parte, compresa la canna, su cui è apposta la marcatura, anche qualora inservibile per rottura o usura, fa presente che – come sa chiunque abbia una dimestichezza anche solo superficiale con le armi da fuoco – la canna è una parte normalmente soggetta ad usura e quindi bisognosa di sostituzione periodica; la sostituzione della canna è peraltro una pratica già regolamentata dalle normative vigenti al fine di assicurare la sicurezza dell’arma. Quanto all’articolo 5, comma 1, lettera c), che impone di ridurre del 20 per cento le dimensioni degli strumenti riproducenti armi, comprese le scacciacani, e vieta l’utilizzo di metalli per le parti essenziali dei soft-air, fa presente che si tratta di disposizioni che, senza un’apprezzabile utilità in termini di incremento della sicurezza pubblica, minacciano di distruggere le imprese italiane che producono questo genere di merci, le quali sono destinate per la grande maggioranza all’esportazione: scacciacani ridotte del 20 per cento rispetto agli originali che imitano sarebbero infatti prive di interesse e il mercato si rivolgerebbe quindi a produttori di altri paesi; lo stesso dicasi per i soft-air, dal momento che sul mercato mondiale i più apprezzati e ricercati sono proprio quelli che contengono parti in metallo. Un’altra disposizione che ritiene necessario rivedere è l’articolo 6, comma 7, che prevede che per i fucili da caccia in grado di incamerare le munizioni delle armi corte non si possano detenere più di duecento cartucce cariche. Parimenti, occorre a suo avviso rivedere la previsione dell’obbligo di licenza per l’esercizio dell’attività di intermediario nel settore delle armi. Premesso che il testo inglese della direttiva parla di broker, ossia più propriamente «mediatore», e di weapons, ossia di armi militari, va detto che non ha senso assoggettare all’obbligo di licenza anche il semplice rappresentante di commercio che propone o tratta la vendita di partite di armi per usi civili. Parimenti insensato, a suo avviso, è l’obbligo di licenza per il vettore che trasporti parti di arma. Infine, ritiene necessario rivedere l’articolo 3, comma 1, lettera i), che prevede l’acquisizione della licenza del questore anche per i poligoni abilitati ai sensi della vigente normativa all’addestramento al tiro: si tratta infatti di poligoni la cui attività è già vigilata dal Ministero dell’interno e dal Ministero della difesa. In conclusione, auspica che il relatore vorrà tenere conto di queste osservazioni nella formulazione della sua proposta di parere per il Governo.
Gabriele CIMADORO (IdV) si associa al deputato Nola, del quale condivide interamente le osservazioni.
Luciano ROSSI (PdL) osserva innanzitutto che lo schema in esame demanda la disciplina di numerosi punti a successivi provvedimenti del Governo, attribuendo così a quest’ultimo, e quindi alle amministrazioni competenti, il potere di innovare, senza neanche il vincolo di criteri direttivi o principi stabiliti per legge, materie di grande rilievo per i cittadini e per la sicurezza pubblica. Si tratta in sostanza di un’ampia delegificazione che sottrae al controllo parlamentare e al contraddittorio con i cittadini, una larga parte della disciplina in materia di armi. Per limitare questo eccessivo potere del Governo, è necessario, a suo avviso, prevedere quanto meno che nella fase di formazione dei provvedimenti attuativi le amministrazioni competenti abbiano l’obbligo di confrontarsi con i rappresentanti del settore, dei tiratori e dei cacciatori, direttamente e attraverso i rappresentanti presenti negli organi consultivi. Venendo quindi al merito delle norme proposte, premesso che le direttive comunitarie tendono ad unire l’Europa armonizzandone le normative, non si possono condividere quelle norme dello schema in esame che non sono attuative di disposizioni contenute nella direttiva e che pertanto differenziano l’ordinamento italiano dagli altri: per esempio quelle che riguardano l’autorizzazione alla ricarica delle munizioni; il divieto delle armi corte calibro 9 x19 parabellum; la qualificazione dei caricatori come parti d’arma ai fini dell’obbligo di avviso per il trasporto; le armi a salve; i soft-air. Su queste disposizioni il relatore dovrebbe, a suo avviso, proporre un parere contrario. Per quanto riguarda, in particolare, il divieto delle armi corte calibro 9×19 parabellum, osserva che esso non solo non è previsto dalla direttiva, ma produrrebbe una diversità dell’Italia rispetto al resto dell’Europa comunitaria, impedendo la libera circolazione di merci e tiratori. Tale norma non appare inoltre fondata nella delega legislativa, in violazione dell’articolo 76 della Costituzione. Parimenti non prevista dalla direttiva comunitaria, che si occupa solo degli oggetti trasformabili in armi da fuoco, è la disciplina delle soft-air, che andrebbe pertanto espunta dal provvedimento. Sono invece apprezzabili quelle norme che, sebbene non specificamente previste nella direttiva, possono contribuire all’armonizzazione delle legislazioni: è il caso, per esempio, delle norme sui laser da puntamento di classe 3A, che sono comunque accessori d’arma in quanto coadiuvano le mire metalliche nel puntamento. Peraltro le norme contenute nella direttiva devono essere attuate tenendo presente la loro funzione e finalità. Per quanto riguarda la norma sull’autorizzazione dell’intermediario – o per meglio dire, del mediatore – di armi civili, previsto dalla direttiva e dal Protocollo ONU con la finalità di prevenire il traffico di armi, è stato detto nelle audizioni di ieri che la figura del broker è sconosciuta per le armi non militari, ed è vero. Non è peraltro impossibile che vi siano professionisti che operano l’intermediazione al fine di facilitare il trasferimento di armi non militari – in particolare pistole – per esempio destinate alle forze di polizia di altri Paesi. La norma sull’intermediario ha pertanto una sua ragion d’essere, a condizione tuttavia di escludere dalla sua applicazione i rappresentanti delle aziende operanti nel settore e di precisare che il mediatore, come è disposto dal codice civile, non deve avere rapporti di dipendenza o di collaborazione con le parti. Non escludere i rappresentanti delle aziende significherebbe operare una restrizione della libertà dei cittadini e delle imprese che non potrebbe non risolversi in maggiori costi e diminuzione di competitività del sistema-Paese; tanto più che tale previsione non comporta alcun incremento della pubblica sicurezza, dal momento che le armi civili sono perfettamente tracciate dalla fabbricazione fino alla distruzione e i dati che le riguardano sono sempre disponibili alle forze dell’ordine. Un altro punto su cui vale la pena di riflettere è quello della definizione di parte d’arma con riferimento alla distinzione tra semilavorato e parte. Occorre che sia stabilito con chiarezza che un semilavorato, a prescindere dalle lavorazioni meccaniche operate o da operare, è una parte inidonea ad essere utilizzata in un’arma, proprio perché non finita. Mancare di chiarezza su questo delicato punto rischia di determinare gravi conseguenze per le aziende, costrette a chiedere autorizzazioni per la movimentazione di alcuni milioni di pezzi l’anno e un corrispondente aggravio di lavoro per gli uffici amministrativi competenti. Conclude auspicando che il relatore intenda formulare una proposta di parere concepita nell’ottica della rappresentanza dei cittadini e della difesa dei loro spazi di libertà.
Alessandro NACCARATO (PD) intende sottoporre al relatore alcuni elementi di riflessione che, a suo avviso, andrebbero tenuti in considerazione nella elaborazione del parere della Commissione. Rileva come alla base della normativa comunitaria e, quindi, del provvedimento in esame vi siano le condivisibili esigenze di tutelare, da una parte, il principio di libera circolazione e, dall’altra parte, la sicurezza pubblica ed una maggiore incolumità dei cittadini. Al contempo, viene introdotto nell’ordinamento italiano il principio della tracciabilità applicato alle armi da fuoco, da accogliere positivamente. Ugualmente, alcune misure previste dallo schema di decreto in esame sono da considerare un importante passo in avanti verso una sempre maggiore tutela dell’incolumità pubblica. Tra queste, in particolare, la certificazione medica ogni sei anni per i detentori di armi e quella sulla non assunzione di sostanze stupefacenti e il non abuso di alcool. Concorda inoltre sulla formulazione prevista nel testo per assicurare che chi detiene armi ne dia comunicazione al coniuge ed ai conviventi che abbiano raggiunto la maggiore età, così come la parte che riguarda le armi giocattolo. Si sofferma, quindi, su due aspetti che a suo avviso necessitano di maggiori chiarimenti, anche alla luce di quanto emerso nel corso delle audizioni svolte nella seduta di ieri. In primo luogo, occorre evidenziare nel parere della Commissione il fatto che parte della delega è rimessa all’adozione di provvedimenti governativi di cui, oltretutto, non si specifica la natura e la procedura. Al contempo, occorre sottolineare l’opportunità di evitare procedure ed eccessi burocratici non previsti dalla direttiva comunitaria.
Raffaele VOLPI (LNP) evidenzia l’opportunità che sul provvedimento in esame la Commissione tenga conto di tutte le sensibilità espresse nel corso dell’audizione svolta nella seduta di ieri. Va infatti considerato che il settore delle armi costituisce, per un paese come l’Italia, un ambito importante di attività, che consente di dare molti posti di lavoro, soprattutto in alcune province come quella di Brescia. Occorre pertanto evitare di introdurre nell’ordinamento italiano appesantimenti burocratici, che non siano direttamente previsti dalla normativa comunitaria, così da evitare di danneggiare un settore che ha dimostrato una buona capacità di rimanere sul mercato nonostante la crisi economica internazionale. Il rischio è che venga penalizzato il ruolo dell’Italia nell’esportazione di armi da fuoco in tutto il mondo.
Michele BORDO (PD) si sofferma sulle previsioni della lettera i) del comma 1 dell’articolo 3, che introduce l’obbligo di licenza rilasciata dalla autorità di pubblica sicurezza per l’apertura o la gestione di campi di tiro o di poligoni privati. Per i poligoni rientranti tra quelli abilitati all’addestramento al tiro ai sensi della normativa vigente, è invece richiesta la licenza del questore. Al riguardo, è necessario a suo avvio che si tengano distinti i campi di tiro che già sono sottoposti a specifici controlli rispetto a quelli privati.
Pierguido VANALLI (LNP), relatore, si riserva di presentare una proposta di parere nel corso della prossima seduta, tenendo conto di quanto emerso nelle audizioni svolte e di quanto evidenziato dai colleghi nella seduta odierna, oltre che di quanto già sottolineato nella proposta di parere elaborata dal relatore presso la 1a Commissione del Senato.
Mario TASSONE (UdC) si riserva di intervenire dopo aver letto la proposta di parere che il relatore presenterà.
Donato BRUNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell’esame ad altra seduta.