La questione dell’orso che ha aggredito a morte il runner in Val Di Sole continua a tenere banco. Vorremmo, placata la sfuriata iniziale dei media e dei singoli, ricordare solamente il dolore dei famigliari e degli amici. Che rimarrà per sempre, purtroppo. Ma anche esaminare la tante idee e soluzioni sentite e lette, cercando di fare un po’ di selezione equilibrata.
Smarchiamo subito la prima: gli spray anti-orso, di cui solo noi parlammo circa 4 anni fa sulla rivista in un articolo inerente la prima aggressione di padre e figlio sul monte Peller, sono stai tirati fuori come panacea anche dal Wwf, bontà loro. Prima non sapevano nemmeno che esistessero, mentre sono adoperati invece capillarmente in America e Canada. Siccome è tutto oro colato quello che dice tale associazione, speriamo che le autorità autorizzino il prima possibile la vendita e detenzione anche ai comuni cittadini e non solo alla Forestale, come dice ancora il Wwf. I cui operatori, peraltro, già sono armati per motivi di lavoro. L’uso fraudolento non dovrebbe preoccupare in quanto in Italia, dimostrato dagli eventi, è facilissimo avere armi illegali per commettere reati. Ma ovviamente, bisogna prima sentire cosa ne pensa il ministero dell’Interno, che ci mise anni ad autorizzare gli attuali spray antiaggressione, con capacità massima di 20 ml, prodotto nebulizzato e portata non superiore a 3 metri.
Ma andiamo avanti. Alla ribalta c’è il paragone tra Trentino e Abruzzo, per quello che riguarda gli orsi: sono due realtà territoriali completamente differenti. Il Trentino ha un tipo di orso che sappiamo diverso dal marsicano; poi, la montagna trentina inizia subito, fuori dagli usci delle case dei paesi. La loro cultura, sostentamento, vita, mestieri, e tutto il resto, viveva e ancora vive proprio del bosco. In tutto. Alpeggi, masi, mucche in montagna, disboscamenti e raccolta della legna, indispensabile al riscaldamento per inverni notoriamente innevati e freddi per mesi. La gente vive di feste e legami con il bosco e la montagna fa parte della loro crescita e cultura.
L’Abruzzo, senza voler togliere in nessun modo la tradizione anche al mondo appenninico, ha invece sempre avuto un rapporto diverso, fatto principalmente di attività legate quasi soltanto alla pastorizia, con meno necessità vitali tratte dal bosco. Che inizia lontano dai paesi, e rappresenta spesso solo luogo di lavoro. Con in più una cultura diversa, in quanto le popolazioni Trentine dell’impero austroungarico hanno sempre avuto nei boschi un patrimonio fatto di dipendenza reale, di teatri di caccia che procuravano carne e trofei, di rispetto per i suoi animali eccetera. Per cui semplificare il discorso, dicendo che bisognerebbe fare in Trentino come fanno gli abruzzesi, significa non sapere e non voler sapere nulla. Tralasciamo le sparate animaliste che enunciano le frasi dementi in cui “il bosco è la casa degli animali e noi siamo gli ospiti”.
Senza l’attuale azione regolatrice dell’uomo gli animali, intere specie, collasserebbero e resisterebbero solo quelli più opportunisti.
La più importante differenza, comunque è che mentre in Abruzzo gli orsi esistono in pratica solo nel territorio dei parchi, in Trentino il centinaio e più di orsi vaga molto al di fuori del parco Adamello Brenta. Che si voleva invece tenere come unico habitat all’inizio del progetto. Per cui è più facile fare ordinanze, divieti, soluzioni più o meno efficaci, con l’autorità sul territorio di un parco, rispetto a quello che si può fare in terreno libero, al quale peraltro appartengono le zone nelle quali sono risultate le ultime aggressioni.
Infine, arriviamo ai numeri: sicuramente il progetto di reintroduzione dell’orso in Trentino si trova in una situazione che, come la pratica insegna, al di là dei proclami salva-tutti dei grandi esperti da programmi Tv, è sfuggito di mano. Gli orsi si sono espansi molto di più del previsto, e riprodotti anche. Per cui la quantità di femmine, che tendono a rimanere nelle zone natie, è elevato e fuori dai numeri del progetto. I maschi, notoriamente più vagabondi e in cerca sempre di “odori” differenti, sono anch’essi conseguentemente diffusi. Non si inventa nulla di nuovo: qualunque popolazione animale, cinghiali, cervi, topi, elefanti, orsi di tutte le specie e altro, raggiunta la saturazione, deve essere sfoltita. Come? I sistemi sono due. O abbattimenti mirati, per esempio di capi troppo vecchi, che ormai hanno riprodotto e che possono essere solo di intralcio ai nuovi nati, oppure trasferimenti in altri siti. Nei quali, tuttavia, stavolta tutta la popolazione sia d’accordo, e sia consapevole di poterli tenere e gestire. Ma i contribuenti sappiano, e glielo si dica a chiare lettere, che le catture e i trasferimenti costano tanti soldi. Che potrebbero essere adoperati più utilmente per aiutare specie ancora in pericolo. Perché tra trappole da sorvegliare e ripristinare, veterinari sempre presenti, medicinali, personale per la rimozione e la gestione, il trasporto, mezzi atti allo scopo, esami dei territori di reintroduzione e tante altre cose, si parla di cifre di tutto rispetto. Anzi di più. E questi costi li pagano tutti, anche quelli che vivono nelle isole del Mediterraneo. Va anche ricordato che tali operazioni non sono esenti, molto spesso, da decessi per complicanze legate alla telenarcosi o alla sedazione. L’ultima soluzione, sempre costosissima e con analoghi rischi di salute per gli orsi, è la cattura e sterilizzazione delle femmine attive. Sempre se gli esperti dichiarino fattibile l’idea, nella pratica. Sterilizzazione che riduce, però, gli animali a simulacri di se stessi. Solo per far contenti animalisti e Natura da cartoni animali.