Con sentenza n. 7778 dell’8 maggio 2023, la sezione Prima Ter del tribunale amministrativo regionale del Lazio è tornata a occuparsi della questione, sempre attuale, del diniego al rinnovo del porto d’armi (in questo caso per uso caccia) dopo anni di pacifici rinnovi, per precedenti penali remoti nel tempo e già oggetto di riabilitazione. Nello specifico, il ricorrente era stato condannato nel 1992 per furto in concorso, alla pena di 8 mesi di reclusione e 660 mila lire di multa. Nel 1997, era stata chiesta e ottenuta la riabilitazione e nel 1998, 2004, 2010 il ricorrente aveva sempre ottenuto il rinnovo della licenza di caccia, rilasciata per la prima volta nel 1980 e più volte rinnovata dal 1986.
I giudici hanno accolto il ricorso, facendo proprie le considerazioni della difesa, nello specifico che “l’effetto preclusivo, vincolante ed automatico, proprio delle condanne penali di cui all’art. 43 Tulps, viene parzialmente meno una volta intervenuta la riabilitazione: più precisamente, viene meno l’automatismo. La condanna, remota e ormai superata dalla successiva riabilitazione, può semmai essere posta a base di una valutazione discrezionale, che terrà conto di ulteriori elementi, quali ad esempio altre circostanze (non necessariamente di carattere penale) ovvero la intrinseca gravità del reato (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 10.7.2013, n. 3719, Cons. St., sez. III, 4.3.2015, n.1072, T.A.R. Catania, sez. IV, 12/04/2022 n.1041). Ne consegue che la discrezionalità riconosciuta all’Amministrazione deve essere contemperata da un obbligo di motivazione rinforzata, idonea ad evidenziare eventuali ragioni del diniego fondate sulla personalità del richiedente, da valutare in modo congruo e razionale. Nel caso in esame è evidente la mancata corretta ponderazione di tutti gli elementi fattuali che avrebbero dovuto concorrere alla formazione del giudizio circa il rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia. Difatti, l’Amministrazione ha fondato il provvedimento di rigetto sulla semplice motivazione relativa alla sussistenza di una sentenza di condanna, emessa in data 30 maggio 1992, alla pena di mesi otto di reclusione e lire 660.000 di multa (pari a euro 340.86) per il reato di-OMISSIS-, ex artt. 81, 110, 624 c.p.: condanna in relazione alla quale è stata concessa, con ordinanza in data 11 novembre 1997, la riabilitazione. Ne consegue che il relativo motivo è fondato, nei limiti dell’inadeguata valutazione delle circostanze e della carente motivazione, in quanto la Questura intimata, nel rigettare l’istanza del ricorrente, nulla ha dedotto a fondamento del diniego, se non la condanna per il delitto di-OMISSIS- risalente a circa venticinque anni prima. Tale dato di fatto non è stato affiancato da alcun giudizio aggiornato sull’affidabilità del soggetto e sulla sua pericolosità sociale (anche in chiave prognostica, sotto il limitato profilo della disponibilità e dell’uso delle armi); né sono stati allegati aspetti della condotta di vita che avrebbero potuto assurgere ad indici sintomatici per giustificare un esito negativo dell’istanza”.
Per questo motivo, il tribunale ha annullato il diniego alla concessione del porto d’armi, condannando l’amministrazione al pagamento delle spese.