Un argomento del quale si parla in effetti poco è l’ammontare dei risarcimenti previsti dalla pubblica amministrazione nel momento in cui un predatore uccide un animale domestico, in particolare i cosiddetti animali d’affezione (ma non solo).
L’uccisione dell’orsa Amarena ha suscitato moltissime reazioni e giornate di approfondimenti. Tra i tanti, una associazione rappresentò lo sdegno per il tragico fatto dicendo che l’orsa era stata uccisa soltanto “per qualche gallina in meno”. Chiariamo che non stiamo giustificando l’uccisione di Amarena e le sue cause. Ma soltanto l’evidente disprezzo che, a loro volta, molte sigle animaliste hanno manifestato per le vittime delle varie predazioni di orsi, lupi eccetera. Come se, nel momento in cui tali predazioni sono fatte da questi animali “nobili”, scomparissero i diritti e il valore della vita degli animali predati. Oltretutto in un’era nella quale gli animali, tutti, sono stati definiti esseri senzienti e degni del rispetto in ogni momento. E soprattutto da non far soffrire inutilmente pena, giustamente, di conseguenze penali.
Come abbiamo potuto constatare dai rapporti di diversi allevatori, che puntualmente perdono diversi animali l’anno, ci sono enormi ritardi nel pagamento dei rimborsi previsti. Parliamo anche di anni, per vedersi riconosciuta la giusta cifra. E per “giusta” intendiamo legata al valore della vita, ma anche della qualità e della resa dell’animale ucciso. E per l’appunto, oltre agli anni di ritardo, ci si vede proporre spesso una cifra inferiore alle attese, perché i fondi disponibili della regione sono limitati e non bastanti per tutti i risarcimenti danni richiesti. Con il paradosso che spesso animali a fine vita, quindi ormai non più produttivi, sono considerati come uno giovane che ha appena iniziato la propria resa economica. Insomma, una vitella non può essere rimborsata come una mucca ormai diventata sterile e quindi non più produttrice di latte. E non si può non riconoscere indennizzi per animali spaventati, stressati da notti in cui sono stati circondati o morsi da predatori, anche se poi rimasti vivi, perché la loro produttività ne risulta compromessa. Altro paradosso (meglio dire ingiustizia), se la stessa predazione avviene in un Parco Nazionale o Regionale c’è una via molto più efficiente per i rimborsi, che sono più veloci e capillari. Altrettanto problematico, se l’animale sparisce e non viene più trovato: sono necessarie indagini e pratiche burocratiche infinite perché alla fine venga riconosciuto come “predato”. Ultimo ma non ultimo: si vuol dare un valore anche affettivo agli animali che vengono uccisi? Possiamo essere affezionati moltissimo al nostro asino, al nostro agnello, o a qualunque altro animale. Anche alle “banali” galline di cui parlavamo in apertura, e che forse nessuno sia quanto siano legate a chi le cura e ci vive accanto. Se il nostro cane, cavallo o altro venisse fatto a pezzi e mangiato vivo, è possibile ipotizzare che nessun indennizzo potrebbe ripagare il nostro dolore? Visto che ormai l’animalismo dà lezioni a tutto e tutti, il risarcimento affettivo è cosa che dovrebbe essere introdotta quanto prima. Ricordiamo che la salvaguardia degli animali protetti è direttamente dipendente dall’efficienza degli indennizzi richiesti e accertati.