Pochi giorni fa sono comparsi immagini e video in rete, raffiguranti un lupo che porta in bocca un cane di media taglia, naturalmente morto. È stato realizzato nel quadrante della città di Roma, zona Magliana. Sul fatto è arrivato il commento dello zoologo Marco Antonelli, che segue la presenza del lupo sulle zone del litorale adiacente. Sul suo giudizio del fatto nulla da eccepire, tranne per un particolare: quando definisce la predazione del cane come “un evento raro, studiato soprattutto nell’Appennino settentrionale”. In merito a questo abbiamo molto da eccepire.
In quanto a predazioni di cani da parte del lupo, specialmente da caccia ma anche pastori, da compagnia sfuggiti momentaneamente, da guardia o altro, ce n’è da riempire un album, tra foto e resti ritrovati. Chi pratica la campagna sa benissimo che un cane che si smarrisce e passa la notte fuori, oggi come oggi, è irrimediabilmente perso. Ma su questo, o sul comportamento del lupo, nulla da eccepire, in quanto Il lupo…fa il lupo vero. Ovvero, mangia tutto quello che è più facile trovare o catturare. Essendo un predatore, come tutti gli altri sulla faccia della terra, perde poco tempo con prede forti o difficili, cercando piuttosto quelle deboli e facili. Per deboli non intendiamo che siano malate, ma inferiori di forza. Come i cani, appunto. Il lupo, come abbiamo detto altre volte, non conosce né lealtà né onore, ammesso che di ciò si possa parlare: acchiappa quello che può, senza correre pericoli. La baggianata propinata da anni dalle associazioni animaliste, e purtroppo anche da qualche luminare, che la diffusione del lupo avrebbe limitato in modo naturale quella degli ungulati e specialmente dei cinghiali è smentita tutti i giorni. Un cinghiale maschio è perfettamente in grado di tenere testa a un branco di lupi e una femmina adulta, oltretutto sempre in compagnia di altre, morde molto più di un lupo. Rimane qualche piccolo da predare e qualche carogna. E i lupi lo sanno. Ecco perché né cervi, né cinghiali, hanno cessato di aumentare. Al contrario pecore, puledri, asini, lama, tacchini, capre, cani vaganti e di casa, e soprattutto gatti randagi, ne fanno le spese. Forse l’unico risultato pratico sarà quello di ridurre il randagismo. Ma non davvero gli ungulati, che aumentano a dismisura. A meno che l’Italia non venga percorsa da migliaia e migliaia di lupi che dovrebbero occuparsi, però, delle altrettante migliaia di ungulati abbattuti, invece, con l’attività venatoria.
Il che spiega anche l’estinzione del lupo da parte dell’uomo nei decenni passati: si dovrebbe prima provare cosa voleva dire la fame, tra i primi del Novecento e la fine della seconda guerra mondiale. Logico che il lupo che attentava alla vita dell’unico asino posseduto, o dell’unica mucca, o delle poche pecore, voleva dire che la vita dei propri figlioli sarebbe finita. Per cui l’avversione per il lupo è nata da questo. Non perché predava gli ungulati, ma perché predava i facili animali domestici.
Invertire le tendenze predatorie del lupo non è certo facile e non spetta a noi. Sarebbe tuttavia necessario, prima di qualsiasi altra considerazione, far cadere l’alone di idealizzazione che è stato costruito sul lupo, inteso come predatore “leale” che agisce solo su animali selvatici. Questa è la favola, per farlo accettare, che hanno propinato le associazioni animaliste. Al contrario, il lupo va preso per quello che è: un animale selvatico furbo e anche invincibile, visto che è ancora tra noi.