Il revolver è una delle armi corte a ripetizione più antiche e longeve, visto che la sua diffusione risale ai tempi dell’avancarica e della polvere nera, ma prosegue tutt’oggi, nell’epoca di Internet. Il principale mercato di riferimento è quello statunitense, da sempre tradizionalmente legato a quest’arma, ma anche nella vecchia Europa sono in molti ad apprezzare le doti dei revolver di moderna concezione, tanto nella difesa personale quanto nel tiro in poligono, in calibri che spaziano dal piccolo .22 lr al monumentale .500 Smith & Wesson.
Il funzionamento del revolver è quanto di più intuitivo possa esserci: i colpi sono contenuti in un tamburo rotante, un meccanismo interno fa ruotare il tamburo allineando progressivamente ciascuna camera con la culatta della canna, per sparare il colpo. Osservando con attenzione un qualsiasi revolver moderno, si può notare agevolmente che il bordo anteriore del tamburo risulta staccato rispetto al bordo posteriore della canna: c’è, insomma, uno spazio vuoto, che gli americani definiscono “barrel gap”.
Perché?
È chiaro ed evidente che, allo sparo, attraverso questo spazio filtra una parte dei gas propulsivi sviluppati dalla combustione della carica di lancio della cartuccia. Non sarebbe, quindi, meglio che il tamburo fosse perfettamente a contatto con la canna, senza alcuno spazio vuoto? Assolutamente no, perché così facendo dopo uno o due tamburi al massimo, sparati di seguito, la dilatazione termica causata dal riscaldamento del tamburo e della canna porterebbe al grippaggio del tamburo. Per non parlare anche dell’accumulo dei residui di sparo, certamente molto contenuto oggi che si usano propellenti a polvere infume, ma comunque presente.
Il “barrel gap”, quindi, c’è perché ci deve essere. Ma quanto deve essere ampio? Su questa semplice domanda si apre un universo: ogni produttore di revolver, infatti, ha un proprio standard, in linea di principio lo spazio varia tra .004 pollici (un decimo di millimetro) e .008 pollici (2 decimi), ma vi sono produttori che adottano un’ampiezza ancora superiore, pari a .010 pollici (2,5 decimi).
Quanto incide?
Quanto incide la presenza del barrel gap sulle prestazioni massime teoriche esprimibili dalla cartuccia? E quanto incide l’ampiezza del barrel gap? Anche in questo caso, non è così semplice dare una risposta, perché l’ammontare dei gas che sfiata dalla fessura è variabile in funzione del calibro, in certa misura anche della lunghezza di canna (un maggior tempo di canna prolungherà anche la fase di sfiato), dalla maggiore o minore vivacità del propellente e così via. Test comparativi condotti negli Stati Uniti, mettendo a confronto per esempio tre revolver Smith & Wesson in .45 acp con barrel gap compreso tra .004 e .007 e con canne di lunghezza compresa tra i 4 e i 6,5 pollici, hanno evidenziato che la lunghezza di canna consente comunque di spuntare velocità leggermente superiori anche in presenza di un barrel gap più ampio. Il confronto, invece, tra le prestazioni fornite dal revolver con canna di 6,5 pollici, a confronto con pistole semiautomatiche dello stesso calibro, con canna di 5 pollici, evidenziano un vantaggio prestazionale oscillante tra i 6 e i 15 metri al secondo (tra i 256 e i 265 m/sec contro i 250 del revolver). Indubbiamente una differenza misurabile, ma tutto sommato poco significativa all’atto pratico. È chiaro che con calibri maggiormente prestazionali, come il .357 magnum, che utilizzano polveri di maggiore progressività, questo divario prestazionale possa essere ulteriormente evidente. Bisogna tuttavia considerare che a fronte di calibri molto potenti, come il .357 o il .44 magnum, l’eventuale divario prestazionale (che resta comunque trascurabile ai fini pratici) è compensato nei revolver con una superiore compattezza ed ergonomia d’uso rispetto alle semiautomatiche; addirittura, i revolver sono in grado di gestire calibri di tali dimensioni e potenza, come il .500 Smith & Wesson, che risultano impossibili (almeno fino a oggi…) da utilizzare in armi corte semiautomatiche impugnabili da un essere umano.
Tutti questi elementi consentono di capire come mai, in effetti, i principali produttori di revolver non si siano preoccupati negli ultimi decenni di “sigillare” in qualche modo la fessura tra canna e tamburo allo sparo, così come fu fatto alla fine del XIX secolo con il revolver Nagant 1895 calibro 7,62 mm, adottato dall’esercito russo: il vantaggio in termini di velocità ed energia è talmente modesto (ancor più con un piccolo calibro come il 7,62 Nagant) da non giustificare la complicazione meccanica per giungere al risultato.
Qualche precauzione in più
Non si può concludere questa disamina senza porre il dovuto accento sulla sicurezza del tiro: la fessura tra canna e tamburo di un revolver, infatti, allo sparo determina come abbiamo visto lo sfiato di gas ad alta temperatura e pressione, e può portare con sé anche la proiezione di particelle di propellente incombusto. Per questo motivo è sempre opportuno che il tiratore non metta le mani vicino al barrel gap allo sparo, né che si consenta ad altri tiratori di sostare accanto all’arma mentre si spara, perché si potrebbe essere feriti dalle particelle proiettate. Consiglio che, comunque, si applica anche alle armi semiautomatiche, perché anche da esse può capitare talvolta che dalla finestra di espulsione, con l’apertura del carrello, oltre al bossolo vengano proiettate particelle incombuste.