Di Alberto Balestrieri
Il mio mestiere mi porta, sovente, a girare per l’Italia. Proprio durante questo quotidiano peregrinare mi sono imbattuto, presso una nota armeria toscana, nel fucile oggetto di queste note. Armi di questo tipo si trovano con difficoltà, quindi ho approfittato immediatamente dell’occasione per fotografare e provare il pezzo e trarne lo spunto per questo articolo.
Il soggetto, causa di tanto interesse, è una vecchia ordinanza canadese di quasi cent’anni fa, il Ross 1905.
L’arma in questione iniziò la sua breve e tribolata carriera nei primi del Novecento, equipaggiando i fanti dell’esercito canadese fino alla sua sostituzione, nel 1916, con il fucile Enfield N°1 Mark III britannico.
Proprio la sua breve vita operativa e il conseguente limitato numero di pezzi prodotti, fanno di questo fucile un oggetto di non facile reperibilità e di conseguenza lo rendono molto appetibile al palato dei collezionisti più raffinati di armi Ex ordinanza.
Il Ross rappresentò il tentativo canadese di destinare all’armamento individuale del soldato di fanteria un fucile di ideazione e produzione nazionale. Si tratta di un’arma di cui poco si è scritto e della quale, vista la brevissima vita operativa, poco è rimasto nella memoria dei più.
L’arma fu progettata dal canadese Charles Ross, dal quale ha preso il nome e, dopo pochi mesi dalla sua adozione, i primi esemplari cominciarono a essere consegnati al corpo della Royal canadian mounted police, la polizia a cavallo canadese.
Questo controverso fucile fu prodotto principalmente in due modelli: il 1905 (o Mark II) e il 1910 (o Mark III). La differenza più vistosa tra i due, è data dal serbatoio, sporgente da sotto la cassa nel modello 1910. Oltre a queste versioni fondamentali, furono poi allestite diverse varianti minori.
Strutturalmente parlando, il Ross si presentava come un’arma ben costruita ed eccellente nella qualità dei materiali: non godeva, però, di troppa considerazione da parte della School of musketry britannica, che espresse nei suoi riguardi giudizi poco lusinghieri.
Nonostante questo, l’esercito canadese ne era equipaggiato quando il Canada entrò in guerra, nel 1914. Purtroppo fu proprio nella dura realtà quotidiana delle trincee che l’arma denunciò tutti i suoi (grossi) limiti e diede enormi preoccupazioni ai suoi utilizzatori che, in combattimento, avrebbero sicuramente preferito un’arma più affidabile.
I difetti principali nascevano da vizi di progettazione. Gli ingegneri non tennero in debito conto il duro uso operativo al quale il fucile sarebbe andato incontro e concepirono l’arma con tolleranze dimensionali strettissime, inadeguate per le condizioni estreme che l’impiego militare quasi sempre presuppone.
Il fango delle Fiandre creò seri problemi all’otturatore del fucile, sia per quanto riguarda lo scorrimento, sia relativamente all’estrazione della cartuccia sparata. Purtroppo, succedeva spesso che il bossolo rimanesse incollato in camera di scoppio e si racconta di soldati canadesi che, nelle concitate vicende del fronte, prendevano rabbiosamente a calci il fucile, nel tentativo di aprire l’otturatore per cercare di rispondere al fuoco e contenere gli attacchi tedeschi.
Per tentare di risolvere questo gravissimo problema e facilitare l’estrazione, si provò ad allargare leggermente la camera di scoppio, ma il rimedio si rivelò scarsamente efficace: oltre a non risolvere del tutto i problemi di estrazione, i bossoli venivano deformati vistosamente.
Altro difetto non indifferente era l’eccessiva difficoltà che i soldati incontravano nelle operazioni di smontaggio e rimontaggio dell’arma. L’ otturatore, in particolare, si dimostrò subito eccessivamente complicato e, se non rimontato correttamente, poteva provocare l’accidentale partenza del colpo anche in posizione di apertura.
Ovviamente, alla luce di quanto sopra descritto, pur trattandosi di arma ben costruita e curata, apparve evidente che la più ovvia conseguenza fosse il pensionamento anticipato del fucile e la sua sostituzione con un modello più affidabile e sul quale i soldati potessero contare con maggior sicurezza.
Il Ross fu, quindi, sostituito con l’Enfield N°1 Mark III, nel pieno svolgimento di quella che fu la prima tragedia mondiale, ricordata come la Grande guerra.
Si concluse, così, la sua breve carriera militare operativa. Gli ultimi impieghi del fucile Ross furono in terra americana e, più tardi, in mani inglesi: alcuni esemplari (20.000) furono, infatti, acquistati dagli Stati Uniti nel 1917, per addestramento truppa e, negli anni della seconda guerra mondiale, dalla Home guard britannica, alla quale fu dato in dotazione.
L’arma oggetto della prova è un Ross 1905, o Mark II. Si distingue dal modello 1910 (Mark III) per avere il serbatoio dei colpi che non sporge dalla cassa e per le alette dell’otturatore che sono piene, mentre il modello 1910 ha i tenoni di chiusura del tipo a vite interrotta.
Il fucile si presenta in condizioni eccellenti e porta benissimo il suo secolo di vita. La brunitura è ancora ben evidente e i legni, di qualità elevata per un’ arma militare, in questo esemplare non sono nemmeno troppo segnati.
Le finiture sono degnamente spartane, la meccanica è ancora in ottimo stato.
Si tratta di un’arma a ripetizione manuale, con otturatore scorrevole (straight pull) a testina rotante, con chiusura a due tenoni frontali.
Il sistema ricorda, concettualmente, quello adottato sui fucili e sulle carabine austro-ungariche modello 1895.
Il serbatoio dell’arma, bifilare, contiene 5 cartucce calibro .303 British e non può essere caricato tramite le classiche piastrine tipo Enfield, ma inserendo a una a una le munizioni. La possibilità di caricamento tramite piastrina fu poi introdotta con il modello 1910.
La caratteristica del serbatoio del nostro fucile è quella di avere la possibilità di interrompere il prelievo delle cartucce dal caricatore, trasformando l’arma a colpo singolo. Sul lato destro, subito dopo la camera di scoppio, si trova infatti un grosso pulsante (cut-off) che, una volta spinto verso il basso, blocca le cartucce nel serbatoio e consente l’alimentazione solo manualmente, colpo per colpo. Per ripristinare l’ordinaria funzionalità del caricatore si agisce su una leva posta all’interno del ponticello, davanti al grilletto.
Il dispositivo consente di sparare senza intaccare la riserva di colpi e veniva usato in tutte quelle situazioni che prevedevano un tiro lento e meditato, come per esempio l’ingaggio di bersagli a distanza elevata o il tiro di disturbo, riservando la scorta di cartucce nel serbatoio per la battaglia vera e propria. Si tratta di un dispositivo abbastanza in voga all’epoca, che possiamo riscontrare anche su altre realizzazioni coeve (per esempio sull’Enfield N°1MkIII e sul più vecchio Vetterli italiano modello 70/87).
Il fucile utilizza una meccanica del tipo straight-pull, quindi, per consentire il riarmo, il manubrio dell’otturatore non compie alcuna rotazione, ma deve essere semplicemente tirato indietro e poi spinto in avanti. I due tenoni di testa vengono fatti ruotare di 90 gradi, a garantire la chiusura dell’arma, tramite un sistema a camme.
L’estrattore è ben dimensionato, il pomolo dell’otturatore è di forma discoidale con parte centrale forata. La sicura è costituita da un bottone cilindrico posto sul lato destro, in corrispondenza della base del manubrio: spostando il comando verso sinistra un cilindretto si interpone orizzontalmente tra il cane e il manubrio, impedendo il suo avanzamento.
Come già detto in precedenza, fu l’otturatore la causa principale dei problemi che tormentarono il fucile.
In effetti, la scomposizione del pezzo risulta alquanto complicata, ma ancor più il relativo rimontaggio. Per chi volesse cimentarsi, una buona regola che può aiutare a capire se il pezzo è montato correttamente consiste nel controllare la distanza che c’è fra il manicotto e la testa dell’otturatore stesso. Se questa distanza, a otturatore aperto (sbloccato), è inferiore a 25 mm, il tutto è montato male. Il problema fondamentale è che, anche in questa circostanza, l’otturatore può essere rimontato sull’arma e posto in posizione di chiusura: la cartuccia, però, risulterà camerata solo per metà, con immaginabili e catastrofici effetti in caso di percussione (che risulta possibile, non essendo previsti meccanismi di sicurezza in caso di imperfetta chiusura). Occorre, quindi, prestare la massima attenzione.
Il modello 1905 poteva essere provvisto di alzo a tangente o a ritto con cursore: sull’arma esaminata è presente quest’ultimo, che s’impone subito all’attenzione per l’estrema cura con la quale è stato realizzato.
Si tratta di un piccolo capolavoro di meccanica di precisione, giunto fino a noi in condizioni perfette. Il sistema prevede, se abbattuto, l’utilizzo di una tacca da combattimento. Ruotando in posizione eretta la lamina, si ha la possibilità di un tiro più accurato tramite una diottra regolabile in alzo e deriva.
L’alzo in questione permetteva, teoricamente, di ingaggiare bersagli fino a 1.100 metri, consentendo a quella distanza un tiro di disturbo e una buona precisione alle distanze inferiori. Il mirino è a lama, inserito a coda di rondine e fissato con due viti contrapposte. È possibile regolare in deriva il pezzo agendo sulla sua sede a coda di rondine. Non è protetto da tunnel, ma è estremamente robusto.
La canna, decisamente lunga (710 mm), ha una rigatura a passo sinistrorso con quattro principi, che ben stabilizzano la palla del .303 British. È di sezione generosa. Il vincolo anteriore della meccanica con la calciatura, del tipo a mezza pistola, è demandato a una fascetta, che comprende integralmente anche l’attacco per la baionetta. La maglietta per la cinghia è fissata alla base della fascetta stessa.
Come quasi tutti i fucili del periodo, anche il Ross prevede uno vano porta accessori per la pulizia, inserito nel calcio e chiuso tramite il solito sportellino scorrevole.
La munizione impiegata dal Ross è la britannica .303 British: palla del diametro nominale di 7,7 mm (reale di 7,92 mm, .312 pollici), bossolo a collo di bottiglia di conformazione molto conica e flangiato. La cartuccia era già superata e obsoleta ai tempi della sua ideazione, ma nonostante tutto ebbe una lunga vita operativa. La .303 British rimase al servizio di sua Maestà per ben 70 anni: nacque, infatti, nel 1888 e cessò di essere utilizzata come ordinanza nel 1957. Fu impegnata praticamente in tutte o quasi le guerre delle quali si ha memoria e fu anche impiegata massicciamente in campo venatorio, soprattutto nei territori colonizzati dagli inglesi dove, tra una guerra e l’altra, i soldati di sua Maestà britannica si trasformavano spesso in cacciatori.
Si narra, infatti, che questa munizione abbia abbattuto più animali di qualsiasi altro calibro al mondo, big five compresi.
La cartuccia originale era caricata con polvere nera compressa nella dose di 70 grani e montava una palla da 215 grani round nose: la velocità era relativamente contenuta (660 m/sec).
In seguito furono cambiati sia il propellente sia la palla, ma la cartuccia fu particolarmente influenzata nei suoi parametri e non raggiunse mai le prestazioni di quelle che erano le cartucce del tempo (8×57 Mauser e .30-06 Springfield in testa) ma, nonostante questo, gli inglesi continuarono imperterriti a usarla nelle loro armi d’ordinanza.
Una curiosità: la .303 fu la prima cartuccia a utilizzare in battaglia i famosi proiettili Dum dum, termine che, è bene ricordare, non ha alcun significato tecnico, ma intende sottolineare il comportamento espansivo del proiettile all’impatto. Dum dum è la località, vicino a Calcutta, dove furono prodotte per la prima volta tali cartucce. La cartuccia ben si presta alla ricarica, a patto di non oltrepassare mai i limiti pressori e velocitari standard della munizione. Le armi che la camerano, infatti, Enfield in testa, non sono famose per la robustezza strutturale ed eccedendo si correrebbero rischi, motivo per cui non consiglio né dosi né polveri e lascio all’iniziativa personale il compito di studiare le giuste alchimie.
Solitamente sono poco propenso a sparare con armi che, come questa, hanno quasi un secolo sulle spalle, ma il tarlo della curiosità ha fatto molto bene il suo lavoro e, quindi, mi sono deciso a preparare qualche colpo, molto ma molto tranquillo, da provare senza troppi patemi, per far momentaneamente rivivere il nostro fucile senza “stressarlo”. Eccomi quindi sulla linea di tiro, con una ventina di colpi da “sparacchiare” dentro un bersaglio che, per eccesso di ottimismo, ho posizionato a 100 metri. Dopo aver assestato le mire in base al punto di impatto (cosa non facile visto che, data l’esiguità della carica, il tiro era spiccatamente curvo), ho deciso che forse la prova più consona alle circostanze fosse quella sulla distanza dei 50 metri. Le cariche erano, infatti, su misura per la sicurezza di utilizzo e non per la ricerca della precisione: del resto il fucile non era mio e, quindi, andava rispettato e garantito il legittimo proprietario.
Alla fine della sessione di tiro devo dire che, tutto sommato, sono rimasto favorevolmente sorpreso dagli esiti dei colpi che, pur con qualche flyer, sono abbastanza raggruppati, nonostante la distanza non fosse eccessiva.
La percussione è sempre stata decisa, ma i bossoli sono usciti piuttosto malconci: probabilmente il nostro fucile appartiene alla casta degli “svasati” e la colpa la pagano i bossoli, che risultano inutilizzabili per la ricarica nonostante le pressioni d’ esercizio fossero palesemente molto basse.
Non credo, comunque, che la cosa possa essere importante, visto che solitamente armi di questo tipo non vengono acquistate per uso pratico, ma per fare bella mostra di sé in collezione e ricordarci che anche loro hanno fatto la loro parte, pur piccola, nell’ evolversi della storia mondiale.
L'articolo completo è stato pubblcato su Armi e Tiro – gennaio 2001
Modello: 1905 Mark II
Tipo: fucile a ripetizione manuale
Calibro: .303 British (7,7x56R)
Otturatore: scorrevole a trazione lineare (straight-pull)
Alimentazione: serbatoio fisso, bifilare
Capacità serbatoio: 5 colpi
Sistemi di mira: mirino fisso, alzo a ritto con cursore regolabile
Lunghezza totale: 1.215 mm
Lunghezza canna: 710 mm
Rigatura: a 4 principi sinistrorsi
Numero di catalogo: 5.178
Peso: 4.500 grammi circa