La vicenda della cassiera che si è vista negare il risarcimento dopo essere stata bersagliata dai pallini sparati da un rapinatore armato di fucile a canne mozze è destinata a far discutere.
Ovviamente il peso delle varie responsabilità giuridiche legate alla vicenda è ambito esclusivo dell’autorità giudiziaria. Ma quali sono i profili di responsabilità che la magistratura sta valutando? E a quale di questi profili si riferisce la sentenza del Tribunale di Lucca che sta destando ovvio e grande scalpore?
Indubbiamente esiste un profilo di responsabilità penale e civile del rapinatore, nel senso che dovrà rispondere penalmente del reato di rapina e degli altri che eventualmente la Procura avrà ravvisato, oltre che del risarcimento del danno nei confronti di tutti i soggetti danneggiati dalla sua azione. Esiste poi una vicenda parallela, che ha per oggetto la richiesta di risarcimento dei danni che la cassiera ha avanzato nei confronti del suo datore di lavoro.
Ebbene, la contestata decisione del Tribunale di Lucca è intervenuta su questa seconda vicenda e ha suscitato un’immediata reazione sui social da parte di una grande fetta di onesti cittadini che in quella pronuncia, o meglio nei titoli di giornale che ne parlano, hanno letto una forte compressione del diritto di potersi difendere e una sorta di favor nei confronti dell’azione del rapinatore.
La posizione dello studioso della sicurezza e analista del rischio, però, lo obbliga al tentativo di trarre comunque qualche insegnamento da un’analisi dei fatti della vita umana, cercando di osservare con occhi distaccati quanto accaduto e, se possibile, di individuarne le ragioni, valutando se esistono un insegnamento da trarre e la necessità di suggerire comportamenti diversi per il futuro.
Naturalmente non disponiamo delle carte processuali, ma la vicenda offre abbondanti spunti di riflessione anche solo per come riportata nei suoi tratti essenziali.
Il fatto
Un rapinatore fa ingresso armato di un fucile a canne mozze nel negozio di una catena della grande distribuzione in località Pontetetto e intima alla cassiera di consegnargli l’incasso.
Stando a quanto riferito dalla cronaca, la cassiera avrebbe inveito contro il rapinatore con le proprie urla, insultandolo, e questo per tutta risposta nell’atto di lasciare il negozio si sarebbe girato esplodendo un colpo di fucile all’indirizzo della cassiera stessa, inondandola di pallini. Questo il fatto.
La vicenda risarcitoria
Come anticipato, la notizia riportata dalla cronaca non riguarda il profilo di responsabilità del rapinatore, ma prende origine dal rigetto, da parte del Tribunale di Lucca, della richiesta di risarcimento che la cassiera ha rivolto al proprio datore di lavoro, evidentemente per i danni subiti durante quell’evento, capitatole comunque sul posto e nell’orario di lavoro.
È indispensabile, dunque, cominciare a circoscrivere l’ambito in cui è sorta quella pronuncia, che non ha in alcun modo esonerato il rapinatore da responsabilità e condannato la signora sotto chissà quale profilo, ma si è occupata solamente di valutare se in quel caso il datore di lavoro fosse tenuto a risarcire i danni al dipendente.
I doveri del datore di lavoro
Naturalmente il datore di lavoro è responsabile della salute e sicurezza sul lavoro dei propri dipendenti, come stabilito in linea generale dell’articolo 2087 del Codice Civile e compiutamente disciplinato nel decreto legislativo n. 81/08.
Per farla breve, deve valutare tutti i rischi a cui potenzialmente può andare incontro il proprio dipendente in ragione delle mansioni che svolge e conseguentemente adottare tutte le misure di mitigazione di quei rischi che si sarà trovato a valutare. In caso contrario ovviamente sarà tenuto a risponderne.
Il rischio aggressione sul luogo di lavoro
In molte attività, tra le quali rientra sicuramente ogni mansione che porta il lavoratore a contatto con il pubblico, è oggi doveroso considerare, al pari di tanti altri rischi, il rischio di subire un’aggressione, che senz’altro nella maggior parte dei casi fortunatamente si risolve in gesti meno gravi rispetto a ricevere un colpo di fucile.
Il rischio di subire aggressioni è infatti oggi pacificamente considerato all’interno dei rischi specifici che alcune attività di contatto con il pubblico possono comportare e i settori della grande distribuzione e dei trasporti sono senz’altro in prima linea nell’aver compreso l’importanza di valutare e mitigare questi rischi attraverso l’adozione di molte contromisure, compresa la erogazione di corsi per il proprio personale sulle modalità più opportune di gestione di quel tipo di emergenze.
Il comportamento del dipendente durante un’emergenza di security
Il dipendente, infatti e al pari di ogni altra persona presente all’evento, dovrebbe mantenere una condotta che concorra a ridurre i rischi per i presenti.
I comportamenti consigliabili sono numerosi e dipendono dalla specificità delle situazioni, ma in linea generale la regola resta una sola: non dobbiamo generare con le nostre stesse condotte un’escalation di pericolosità dell’evento ed anzi, se e in quanto possibile, i presenti dovrebbero tenere comportamenti che, al limite, tendono a ridurre i rischi, non certo ad aggravarli!
In caso di rapina, che è un reato contro il patrimonio ma richiede la presenza dell’elemento “violenza”, può essere considerato utile evitare di alimentare l’aggressività del rapinatore proprio per contenere la violenza dell’azione. In altri casi addirittura è consigliabile utilizzare tecniche che provino ad attuare una de-escalation dell’aggressività altrui. Di fronte a un rapinatore manifestamente armato è comunque in linea generale è consigliabile agevolare il suo allontanamento dallo scenario, a tutela della vita e della salute di tutti i presenti. Quali sono altrimenti rischi che si generano?
È fondamentale partire dalla considerazione di quali siano i beni esposti all’azione criminosa. Il bene vita e il bene salute ovviamente vanno tutelati prima ed eventualmente anche contro la tutela di ogni bene di natura patrimoniale.
La vita di una persona vale il bottino di una rapina al supermercato che, nel caso specifico, pare ammontasse a 400 euro?
E se rapinatore, evidentemente stressato dalle urla della signora, avesse rivolto il proprio fucile contro una persona diversa? Quale ruolo avrebbe avuto il comportamento della cassiera nella potenziale uccisione di un’altra persona? Lo stesso che ha avuto nel suo stesso ferimento.
Stando a quanto si legge, infatti, il rapinatore non sarebbe stato intento a offendere la vita e la salute di qualcuno, ma avrebbe condotto la situazione senza esplodere nemmeno un colpo. E ancora, se anche il rapinatore fosse stato davvero sul punto di attentare alla vita di qualcuno tra i presenti, gli insulti urlati dalla signora in questione si ritiene che non avrebbero concorso in alcun modo a un tentativo di salvare vite. Anzi, anche in quel caso, gli insulti gridati all’indirizzo dell’assalitore non avrebbero potuto far altro che contribuire al degenerare dello scenario.
Non è mai consigliabile aumentare lo stress in una persona che ci tenga sotto il tiro delle armi, se non a rischio di concorrere con il nostro stesso comportamento a un innalzamento dello stress tale per cui l’aggressore può passare addirittura a livelli decisamente maggiori di aggressività: prima stava perpetrando un reato esclusivamente contro il patrimonio dopodiché, anche grazie al nostro comportamento, è finito con il mettere in pericolo anche la vita delle persone.
Torniamo alle responsabilità del datore
Dunque, il Tribunale di Lucca si è trovato a decidere sulla domanda di risarcimento danni della cassiera rivolta al datore di lavoro e ha ritenuto che il ferimento della signora sia stata la conseguenza del suo stesso comportamento, perché con le sue urla non solo non ha partecipato alla riduzione di tutti i rischi di quel momento, ma ha addirittura provocato la reazione del rapinatore, in qualche modo subendo lei stessa le conseguenze della sua azione.
Vi sarebbero stati feriti se non avesse aggredito verbalmente il rapinatore? Vale di più la somma di denaro rapinata o la vita umana? E ancora, gli strumenti di reazione della cassiera – le sue urla – erano potenzialmente adeguati a un intervento risolutivo dello scenario oppure no?
Già, perché anche nel caso in cui uno tra i presenti avesse avuto occasione di reagire addirittura armi in pugno, dovremmo porci le stesse domande. Lo scenario era tale per cui l’intervento armato avrebbe rappresentato l’extrema ratio nel tentare di salvare vite o, anche in quel caso, avrebbe potuto generare solo un’escalation di pericolosità? Le domande sull’opportunità di reagire, che trovano risposta caso per caso, sarebbero state doverose anche in quell’ipotesi. C’è da dire, però, che almeno in quel caso la loro potenziale capacità di fermare l’offender sarebbe stata, però, al di sopra di ogni dubbio!
Nel caso in questione, invece, si è trattato di urla contro armi da fuoco! Vincono le seconde, garantito. E le urla possono solo innalzare la pericolosità dello scenario, come in effetti sembra essere accaduto.
Esiste, a dire il vero, un potenziale profilo di responsabilità del datore di lavoro e che la cassiera potrebbe invocare, o magari ha invocato senza soddisfazione, perché è necessario ricordare che stiamo conducendo un’analisi “a partire” dallo scenario proposto dalla cronaca, non “sui fatti” oggetto di cronaca, che non conosciamo a fondo. Li abbiamo utilizzati, come sempre, come spunto di riflessione, come palestra per condurre esercizi di logica… insomma, come si fa ogni volta in ambito di studio degli incidenti, per imparare dal passato ed eventualmente non ripetere gli stessi errori in futuro.
Ebbene, quale sarebbe questo eventuale profilo di responsabilità del datore? Il datore di lavoro non può invocare un comportamento sbagliato del dipendente, nemmeno sanzionandolo disciplinarmente, se non prova di aver formato il dipendente sulle corrette modalità di gestione di quella tipologia di crisi.
In passato, infatti, hanno fatto scuola alcuni casi nei quali il dipendente era stato aggredito e aveva reagito, magari andando molto oltre la necessità di difendersi e causando ingenti danni all’aggressore. Il datore di lavoro in questione era arrivato a licenziare il dipendente che aveva letteralmente pestato un interlocutore durante una lite, ma ormai la Corte di Cassazione è allineata nel ritenere che il lavoratore non possa rispondere dei suoi comportamenti eccessivi se il datore di lavoro non gli ha fornito gli strumenti adeguati per la gestione di quelle situazioni!
Questo, al limite, potrà essere un profilo di responsabilità addebitabile al datore di lavoro. Le letture “di pancia” dei titoli di giornale non portano da nessuna parte. La domanda è semplice e la risposta è per tutti: se un rapinatore se ne sta andando senza colpo ferire, uno tra i presenti lo ricopre di insulti e questo girandosi spara proprio a te, come valuteresti il comportamento di chi ha urlato? Adesso ciascuno di noi può esprimere più compiutamente il proprio parere.