Sta facendo discutere, in questi giorni, l’ordinanza con la quale l’assessore comunale al commercio della città di Torino, Paolo Chiavarino, ha inteso disciplinare i mercatini di Natale che dovrebbero tenersi, dal prossimo 7 dicembre, nel capoluogo piemontese. Numerosi infatti, sarebbero i divieti contenuti nell’ordinanza: a partire dalla vendita di prodotti gastronomici non tipici piemontesi, passando per petardi e mortaretti, ma anche biglietti della lotteria e così via. Non fanno eccezione neanche le pistole giocattolo e i soldatini, nel nome di “un Natale più etico e lontano da ogni simbolo di guerra”.
In relazione a questo specifico aspetto, Vanity Fair Italia propone tuttavia un punto di vista differente, nell’intervista a Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, che ha recentemente pubblicato: in particolare, alla domanda se sia effettivamente utile, per ispirare una mentalità pacifista, proibire armi giocattolo e soldatini, l’esperto risponde: “Gli adulti, con certe iniziative, rischiano di privare i bambini di possibilità espressive, pensando di impartire loro delle lezioni educative. Poi magari sono gli stessi adulti, nella loro vita quotidiana o in televisione, a mostrare ai piccoli il conflitto e le battaglie, che si concretizzano ogni giorno attraverso il mancato rispetto e la prevaricazione dell’altro”. E ancora, sull’arma giocattolo: “può avere una funzione di simbolizzazione degli aspetti aggressivi, legati a un corpo che si trasforma. In questa società il corpo è posto “sotto sequestro”, perché visto come aggressivo e distruttivo: gli aspetti del movimento e del conflitto sono repressi. Questo porta i ragazzi a spostare l’attenzione sui videogiochi e sulla Rete, ma in realtà non ci sta bene nemmeno che impugnino armi virtuali. E allora la domanda è: siamo sicuri che i nostri modelli educativi, più che essere finalizzati alla pace, non diventino uno strumento ci serve per negare degli aspetti fisiologici della crescita? In passato questi aspetti della crescita erano più tollerati, e in questo modo i ragazzi sviluppavano una mentalizzazione del proprio corpo più sana. Oggi i genitori guardano con sospetto anche giochi come palla avvelenata o palla prigioniera, che hanno nomi che evocano il conflitto, la battaglia. Una volta, invece, non erano considerati un’istigazione a una mentalità aggressiva, ma giochi simbolici attraverso i quali, attraverso le regole, i bambini e i preadolescenti potevano liberamente tirarsi pallonate senza, per questo, essere guardati come precoci guerrafondai. Ben venga qualsiasi iniziativa che valorizzi l’educazione alla pace, ma attenzione a non chiedere sempre ai bambini e agli adolescenti di adattarsi alle nostre idee, spacciate per educazione, ma mosse perlopiù dalle nostre angosce. Il conflitto, fisiologicamente, fa parte della crescita e, anche se gli adulti lo inibiscono, non può essere eliminato. E non bisogna confondere con la guerra il gioco, che può anche essere un utile strumento formativo”.