Popolazione di daini fuori controllo nel Parco del Circeo: quasi 200 mila euro stanziati per complessi progetti di spostamento e ricollocamento, guai però a pronunciare la parola “selezione”…
Nel Parco del Circeo, in provincia di Latina, si è ormai alle strette per la gestione dell’enorme quantitativo di daini che, riprodottisi a dismisura, non sono più gestibili. Come riporta la stessa dirigenza, la quantità per 100 ettari è di 42 daini. Al contrario dovrebbero essere 15-20 al massimo, sempre in 100 ettari. “La specie è stata introdotta come ornamentale in un recinto, ma poi ne sono fuggiti. E oggi si verifica un carico sulla biodiversità e sulla flora, sia di arbusti giovani sia di alberi, troppo grande. Per cui si deve intervenire”, ha dichiarato l’ente. Sui 1.200 animali, dichiarati presenti, sembra che vadano sfoltiti il 30 per cento. Gli animalisti lamentano che è stato pubblicato un bando per il ricollocamento dei daini in aziende-agro-turistico-venatorie o in allevamenti a scopo alimentare o a proprietari di recinti dove sarebbe possibile continuare una convivenza a scopo, ancora, ornamentale. E continuano a insistere sulla sterilizzazione, ormai molte volte ritenuta impossibile dagli organi competenti. Per essere efficace, la procedura di sterilizzazione dovrebbe infatti essere effettuata direttamente sugli esemplari non una sola volta, ma diverse volte. Per cui imporrebbe la ricattura e la sicurezza di trovarsi di fronte allo stesso animale. Più di tutto, si continua a negare che il prelievo, o abbattimenti che dir si voglia, risolverebbe i problemi di sovrappopolamento delle specie. L’abbattimento delle specie in esubero è il sistema più pratico e più economico per ridurre i numeri. Lo dicono tutti, anche l’Ispra. Il pietismo purtroppo crea solo danni. E di più ne fanno le amministrazioni che lo assecondano. Chiariamo inoltre che le fantomatiche catture di cui si parla, per poi trasferire gli animali chissà dove (in quanto i daini nessuno li vuole, perché creano altrove il problema che appunto si vuole risolvere), ha risvolti economici e pratici che un Parco deve poi assolvere con i propri introiti. In particolare, la tele-narcosi prevede complessi appostamenti, perché il tiro utile è ristretto a soli 20 metri circa. Per catturare invece animali con le reti occorre un fronte di almeno 200-300 metri, con almeno 30-40 battitori che spingono gli animali nella giusta direzione. Chi paga tutte queste persone, i mezzi, i veterinari eccetera? Gli animalisti? No, i Parchi. E infatti lo stesso Parco ha stanziato 195 mila euro per la gestione del problema. Dovrà istruire guardaparco, comprare mezzi, attrezzature e far fare centinaia di ore di lavoro, tutte pagate, per mettere in piedi catture e trasferimenti. L’importante, come ha assicurato il Parco, è che nessun cacciatore o selecontrollore sia autorizzato a fare abbattimenti nell’area protetta. Ci sarebbero persone che lo farebbero gratis, già autorizzate e con regolari titoli e relativa esperienza. Anzi, per un capo da trofeo sarebbe disposti a pagare, persino. Il tutto porterebbe soldi dentro al Parco, anziché fuori. L’ipocrisia non ha limiti.