Con sentenza n. 740 del 15 maggio scorso, il Tar della Calabria ha accolto il ricorso da parte di un cittadino che si era visto recapitare un divieto di detenzione delle armi (da parte della prefettura) e la revoca del porto d’armi uso caccia (da parte della questura) perché, durante una perquisizione domiciliare effettuata alle 6 del mattino per una ipotesi di reato non attinente le armi (per la quale poi è intervenuta archiviazione), l’uomo era apparso “turbato”. A nulla era servito, per far revocare i provvedimenti, che l’interessato producesse un certificato medico del centro di salute mentale, che attestava la piena lucidità.
Il tribunale ha accolto il ricorso, argomentando che “Ribadito, infatti, che i militari avevano descritto il ricorrente come “evidentemente turbato, tanto da indurre il ricorrente a ritenere valido il provvedimento di ritiro cautelare delle armi”, mentre nel provvedimento impugnato si parla di ricorrente non più “turbato” ma “scosso”, è però da evidenziarsi che gli stessi non forniscono alcun elemento idoneo ad apprezzare e circostanziare le ragioni delle conclusioni da essi assunte, sicché, in difetto di altri elementi, il provvedimento risulta ancorato ad una mera percezione soggettiva non meglio suffragata da elementi indiziari esterni.
Peraltro, le circostanze in cui si sarebbe verificato il suddetto episodio – ossia nel corso di operazioni di perquisizione domiciliare e sequestro di polizia giudiziaria, che ben possono cagionare una situazione di turbamento in capo al destinatario delle stesse – unitamente all’occasionalità dello stesso (non risultando agli atti né essendo stato mai evidenziato da parte dell’Autorità di Pubblica Sicurezza altre occasioni nelle quali il ricorrente avrebbe ingenerato dubbi di affidabilità nell’uso delle armi da lungo tempo detenute) avrebbe dovuto indurre l’Autorità di Pubblica Sicurezza -vieppiù a seguito di precisa contestazione in sede procedimentale da parte del ricorrente- a svolgere ulteriori approfondimenti istruttori per accertarsi in ordine alle circostanze del dedotto “turbamento” e all’idoneità dello stesso a far venir meno l’affidabilità all’uso delle armi”.
La parte soccombente è stata condannata al pagamento delle spese processuali.