Più armi tra i cittadini, più omicidi? Dati (dell’Fbi) alla mano, sembra proprio che il più classico dei mantra anti-armi sia anche il più fasullo…
I “mass shooting” che si sono verificati negli Stati Uniti negli ultimi anni sono una vera e propria tragedia, che ha calamitato l’attenzione pubblica non solo americana su un evidente problema. Come al solito, però, invece di domandarsi quali siano le cause reali di questo fenomeno che sembra riguardare specificamente la realtà federale statunitense, molti sfruttano la situazione per portare avanti battaglie ideologiche che, spesso, dalla cronaca si spostano alla pseudo-statistica, proponendo dati completamente sballati e fuori dalla realtà. È il caso di uno dei più recenti e ormai abusati mantra degli anti-armi, secondo i quali la maggior diffusione di armi da fuoco tra i cittadini (statunitensi ma più in generale di qualsiasi altro Paese del mondo) si tradurrebbe automaticamente in un aumento degli omicidi. In realtà, secondo le statistiche diffuse per esempio dall’Fbi, sembra doversi concludere che una maggior diffusione delle armi da fuoco abbia ben poco a che vedere con il numero di omicidi commessi con armi da fuoco o, in generale, con gli omicidi punto e basta.
Se vogliamo prestare fede ai numeri relativi alle armi da fuoco in possesso dei cittadini statunitensi, si deve concludere che oggi c’è più di un’arma da fuoco per ciascuno dei cittadini dell’Unione, con un totale stimato di oltre 300 milioni di armi da fuoco circolanti negli Stati Uniti. Da ciò si deve anche concludere necessariamente che la diffusione delle armi da fuoco tra i civili non sia mai stata così alta come negli ultimi anni. Eppure, guardando alle statistiche dell’Fbi, risulta abbastanza facile osservare che il tasso di omicidi per 100 mila abitanti risulta essere in calo pressoché costante dagli ultimi trent’anni, risultando oggi pressoché la metà rispetto a quanto accadeva nel 1980. Infatti, nel 1980 il tasso di omicidi era pari a 10,2 per 100 mila abitanti, laddove nel 2017 risulta essere del 5,3 per cento, cioè pari a quello che si registrava negli Stati Uniti nel 1960 (che era di 5,1). La curva del tasso di omicidi tra il 1960 e oggi ha registrato un lento incremento tra il 1960 e il 1970, per poi salire più bruscamente tra il 1970 e il 1980, raggiungendo proprio nell’80 il tasso massimo dei tempi moderni, pari appunto a 10,2. Dopo il 1980, si è registrato nuovamente un decremento costante, che risulta intorno ai 5 per 100 mila abitanti ormai dagli anni Duemila.
È significativo, volendo andare a spulciare le virgole, che proprio negli otto anni dell’amministrazione Obama si sia registrato un numero di omicidi particolarmente basso (tra 5,0 per 100 mila abitanti nel 2009 e addirittura soltanto 4,4 nel 2014) malgrado proprio sotto l’amministrazione Obama si sia registrato il record assoluto di vendite di armi ai cittadini statunitensi (per la paura di restrizioni annunciate dal programma elettorale di Obama). È altrettanto significativo che negli ultimi due anni, sotto l’amministrazione Trump, il tasso di omicidi abbia subìto un leggero aumento (5,4 nel 2016, 5,3 nel 2017 contro i 4,9 per 100 mila abitanti nel 2015), pur restando nella media degli ultimi vent’anni, nonostante dall’elezione del Tycoon le vendite di armi siano calate addirittura del 30 per cento rispetto al periodo di Obama (perché Trump si è schierato in campagna elettorale a favore della Nra, “tranquillizzando” gli appassionati).
Questo significa che il “modello” giuridico di normativa sulle armi negli Stati Uniti sia perfetto e addirittura (come qualcuno paventa) “esportabile” in Europa? Certamente no. Significa soltanto che la comprensione del problema dei “mass shooting” negli Stati Uniti è molto più complesso e articolato di quanto gli anti-armi vogliano semplicisticamente far credere e possa essere compreso soltanto affrontandolo da più prospettive differenti, come quella culturale, educativa, sociale.