Di fronte a una strage avvenuta nell’ambito della famiglia, come quella di Verona che ha visto un noto commercialista uccidere la moglie e i tre figli per poi togliersi la vita, la risposta più giusta sarebbe il silenzio. Silenzio che non è indifferenza, ma necessità di fermarsi e capire un fenomeno complesso e drammatico, i cui contorni sono ancora del tutto misteriosi. Invece, purtroppo, sono in molti a dar fiato alle trombe per tirare l’acqua al mulino delle prop…
Di fronte a una strage avvenuta nell’ambito della famiglia, come quella di
Verona che ha visto un noto commercialista uccidere la moglie e i tre figli per
poi togliersi la vita, la risposta più giusta sarebbe il silenzio. Silenzio che
non è indifferenza, ma necessità di fermarsi e capire un fenomeno complesso e
drammatico, i cui contorni sono ancora del tutto misteriosi. Invece, purtroppo,
sono in molti a dar fiato alle trombe per tirare l’acqua al mulino delle
proprie tesi socio-politiche, spesso in modo così grossolano da contraddire se
stessi. “La tragedia di Verona deve sollecitare l’attenzione del ministro
dell’Interno sull’esigenza di dare una svolta concreta sulla politica delle
armi fino ad oggi praticata”, tuona Enzo Marco Letizia, segretario nazionale
del sindacato funzionari di polizia. “Rivedere normative e circolari, che hanno
consentito il proliferare degli armati sul territorio nazionale è una priorità
che s’impone dopo episodi come quello della scorsa notte. Purtroppo, mentre
cadono anche mamme e bambini sotto i colpi di folli armati, sulle esigenze
collettive prevale il limite insormontabile dell’interesse economico degli
armieri. Non è solo una questione di cambiamenti legislativi, ma anche e
soprattutto la necessità di riformare o annullare decreti, circolari e altri
provvedimenti che hanno consentito da un lato il possesso indiscriminato di
armi dall’elevato potenziale offensivo e dall’altro la sostanziale inefficacia
delle visite mediche, svolte secondo i criteri dell’autocertificazione e della
mancanza di qualsiasi effettiva assunzione di responsabilità”. Certo,
aggiungiamo noi, è molto comodo scaricare tutta la colpa sullo strumento (le
armi da fuoco), forse però sarebbe più utile soffermarsi sui motivi che portano
ad atti di follia esplosiva all’interno della famiglia: il mutamento dei
rapporti sociali tra uomo, donna e figli, le spinte angoscianti del consumismo,
il diminuito potere d’acquisto degli stipendi e così via. Se ci si ferma un
secondo a riflettere, per esempio, si nota che se da un lato è vero, come cita
Repubblica.it, che sono circa 4,8 milioni gli italiani che hanno almeno un’arma
in casa, ma è anche vero (ed è sempre Repubblica.it a dirlo!) che lo strumento
più utilizzato negli omicidi in famiglia è in assoluto il coltello (31,3 per
cento), non la pistola o il fucile. Bello sforzo anche quello compiuto da Il
Giornale, che nella versione on-line del 24 novembre attribuisce il raddoppio
delle richieste di detenzione o porto di pistola negli ultimi cinque anni alla
“percezione diffusa di insicurezza”, salvo sull’edizione cartacea del 22
novembre smentire se stesso dicendo (ricerca Demos per Fondazione Unipolis) che
“gli italiani si sentono più sicuri, hanno meno paure e guardano al futuro con
un pizzico in più di certezze”. Se si desidera rendere ancora migliore la legge
sulle armi, siamo i primi a essere disponibili a parlarne. Non si può pensare,
però, di mettere mano a un argomento così complesso con la demagogia e i
“teatrini” di parte.