Con sentenza n. 04753 del 9 luglio 2021 (udienza 29 giugno), il Tar di Napoli ha rigettato il ricorso presentato da un cittadino, contro il provvedimento di divieto di detenzione delle armi ex art. 39 Tulps, disposto dalla prefettura di Caserta.
I fatti scaturiscono dal tentato omicidio della consorte del ricorrente, per il quale il ricorrente stesso era stato indagato salvo poi essere prosciolto dalle accuse, in seguito alla piena confessione del figlio minore, che si è assunto la esclusiva responsabilità del fatto. Il coltello, tuttavia, utilizzato per commettere il delitto era stato prelevato dal comodino del padre (quindi del ricorrente), fatto che la prefettura aveva in parte utilizzato per desumere l’inaffidabilità del soggetto, disponendo conseguentemente il ritiro delle armi legalmente detenute.
Il Tar ha respinto il ricorso, argomentando incredibilmente che “Occorre considerare che l’ambiente familiare in cui il ricorrente viveva è stato sconvolto dal grave episodio di tentato omicidio in danno della moglie di esso ricorrente mediante un’arma impropria (coltello) di proprietà ancora di esso ricorrente, da questi detenuta ma, evidentemente, a disposizione dei componenti della sua famiglia e di libero accesso agli stessi; quand’anche, a seguire il ricorrente, non fossero normate specifiche disposizioni e cautele per la detenzione delle armi improprie, non è dubbio che un coltello “defender”, ossia un’arma impropria, usata per la difesa personale (oltre che, ovviamente, per l’offesa), ma affatto assimilabile, a dispetto dell’argomentato tentativo di dequotazione di offensività dello stesso, a un coltello “ da cucina”, in presenza di minori all’interno della casa familiare, richiedesse speciali oneri di custodia e non la mera collocazione della stessa nel cassetto di un comò; le circostanze concrete del grave episodio occorso danno invero conto della facilità con cui è stato possibile individuare il luogo di detenzione e materialmente utilizzare l’arma; il che, a prescindere come detto dalla irrilevanza penale del fatto, non è certamente sintomatico di una particolare accortezza nella detenzione di oggetti comunque atti ad offendere e, a cascata, di completa affidabilità nella detenzione e uso delle armi. Non sembra ultroneo, a tal proposito, richiamare la consolidata giurisprudenza della Cassazione in ordine all’individuazione, in concreto, delle modalità di custodia degli strumenti atti ad offendere. In particolare, la Corte di Cassazione, nell’analizzare il disposto di cui all’art. 20 della l. n. 110/1975 (“La custodia delle armi deve essere assicurata con ogni diligenza nell’interesse della sicurezza pubblica”) e nell’enucleare principi validi anche per le c.d. “armi improprie”, ha avuto modo di chiarire che, benché non siano in concreto individuate le modalità della imposta custodia, le stesse devono essere adeguate di volta in volta alle situazioni contingenti e proporzionate al pericolo che si intende scongiurare, segnalando che, tra le situazioni contingenti, sono da considerare, inter alia, la convivenza familiare con altri soggetti, la presenza di minorenni, le condizioni dell’arma, il luogo, più o meno accessibile, in cui l’arma è detenuta, allo scopo non solo di ostacolare i possibili furti ma anche di evitare che persone che frequentano o che si trovino nel luogo di custodia entrino con facilità in possesso dell’arma al di fuori del controllo del legittimo detentore (cfr. Cassazione, sez. Il penale, n. 29848/2019). Il successivo art. 20 bis della L. n. 110 del 1975 (che reca il divieto di rendere agevole l’impossessamento di armi rispetto, tra l’altro, a persone di minore età) impone, poi, ulteriori cautele nella detenzione delle armi, volte ad impedire che uno dei soggetti contemplati dalla disposizioni (minori incapaci, persone inesperte o tossicodipendenti) riesca a impossessarsi delle armi (Cassazione, sez. I penale, n, 20192/2019), peraltro affermando la penale responsabilità in un caso in cui la conservazione delle armi all’interno di un mobile o di uno scrittoio, anche chiuso a chiave, ma con chiave reperibile, non è stata ritenuta integrare cautela sufficiente ad impedire l’accesso all’arma medesima (Cass., Sez. I pen., n. 18931/2013). Applicando i suesposti principi, opportunamente adattati al caso che ne occupa, è evidente che la detenzione di un coltello “defender”, riposto in un cassetto senza l’uso di ulteriori cautele, e dunque facilmente accessibile anche ai minori conviventi (come poi materialmente è stato), è fatto che, non contestato nella sua oggettività, e indipendentemente dalla sua rilevanza penale, ben può essere valutato dall’Autorità di polizia per minare l’affidabilità del soggetto e negare per il futuro la possibilità di detenere armi”.
In pratica i giudici del Tar, malgrado l’articolo 20 e 20bis della legge 110/75 siano specificamente dedicati alla custodia delle armi proprie e per di più da fuoco (ovvero quelle indicate dagli articoli 1 e 2 della legge 110/75), vorrebbero estendere tali oneri anche agli strumenti atti a offendere come i coltelli, esplicando peraltro surreali valutazioni circa la loro superiore o inferiore lesività rispetto al coltello da cucina. Addebitando al ricorrente di non aver assolto speciali oneri di custodia per un oggetto per il quale… la legge non prescrive alcuno speciale onere di custodia!
È da auspicare che questa sentenza venga appellata al Consiglio di Stato, rimediando a quella che a nostro avviso è una evidente e parossistica deformazione interpretativa della norma.
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