Dopo aver acquisito il controllo della Virginia, i dem stanno tentando nello Stato Usa il primo esperimento di “disarmo” dei cittadini americani
Con le elezioni del 5 novembre scorso, il partito democratico statunitense ha acquisito il controllo di tutte le autorità statali in Virginia: dal Parlamento ai ruoli di governatore e procuratore generale. Da quel momento è iniziata in grande stile una campagna, per la verità originata già nella primavera precedente, per attuare in Virginia, per la prima volta tra tutti gli Stati dell’Unione, una massiccia operazione di confisca delle cosiddette “armi d’assalto”. In pratica, l’idea sarebbe di obbligare i cittadini residenti nello Stato a consegnare tutte le armi lunghe semiautomatiche che siano in possesso di almeno uno dei requisiti previsti in una lunghissima lista, che prevede (per esempio) rompifiamma, calcio collassabile, impugnatura a pistola e così via. Requisiti ben più rigidi di quelli previsti dal famigerato “assault ban” firmato dal presidente Clinton nel 1994 e durato 10 anni. L’operazione si è, tuttavia, scontrata con una fortissima opposizione da parte dei cittadini, consigliando il governatore dello Stato, Ralph Northam (in foto), a smorzare almeno nelle apparenze l’impatto di tali draconiane misure. La messa al bando, così, è stata successivamente proposta con una clausola di “grandfathering”, consistente nella possibilità di mantenere il possesso delle armi in questione da parte di coloro che le avessero acquisite prima dell’entrata in vigore della nuova legge. Ovviamente per rendere possibile una simile proposta, è stato necessario includere anche un obbligo di registrazione da parte dei possessori di tali armi, cosa che per le associazioni di tutela del secondo emendamento rappresenta semplicemente un preludio a una successiva confisca semplicemente differita nel tempo, come peraltro accaduto nella città di New York.
Nel frattempo i cittadini e le autorità locali stanno reagendo in modo decisamente energico a quella che è vissuta come una vera e propria violenza perpetrata dal governo statale: una delle misure più eclatanti poste in essere da parte di contee e singole città è la dichiarazione da parte delle singole autorità locali che i territori da loro amministrati siano veri e propri “santuari del secondo emendamento”, ovvero (in altre parole) che in tali territori non sarà data alcuna forma di collaborazione all’applicazione di leggi ritenute contrarie alla Costituzione statunitense (e in particolare, è ovvio, al secondo emendamento).
Questi “santuari”, sorti singolarmente in analogia con le città santuario per l’immigrazione, controllate in massima parte da politici del partito democratico (nelle quali le autorità cittadine rifiutano di collaborare con le autorità statali e federali per assicurare il rispetto della normativa in tema di immigrazione clandestina), non possono ovviamente vantare alcuna ufficialità né, soprattutto, potranno validamente opporsi a una reazione di forza da parte dello Stato centrale: tuttavia il loro peso politico è più che evidente, considerando che si tratta già di 93 differenti autorità locali, che interessano il 40 per cento della popolazione della Virginia. Per l’autorità centrale, quindi, esercitare una prova di forza per obbligare le autorità locali a collaborare in una eventuale confisca generalizzata delle “armi d’assalto” potrebbe portare comunque a contrasti dal notevole peso politico, e c’è anche chi è giunto a teorizzare una vera e propria rivolta che potrebbe innescare una sorta di guerra civile.
Al di là del fatto che la campagna contro le cosiddette “armi d’assalto” è di matrice squisitamente ideologico-propagandistica (studi indipendenti hanno confermato che, malgrado gli eclatanti casi di mass shooting, in realtà l’impiego illegale dei cosiddetti black rifle è meno che marginale rispetto, per esempio, alle pistole o persino ai coltelli e ai martelli), non si può evitare di rilevare come l’idea, da parte di numerosi politici del partito democratico (a partire dal miliardario Michael Bloomberg, candidato alla presidenza Usa 2020, che ha massicciamente finanziato sia le campagne elettorali Dem in Virginia, sia questo specifico progetto), di proporre una confisca di una proprietà privata dei cittadini americani sia, politicamente, per lo meno grossolana se non evidentemente ingenua o quantomeno indice di una arroganza al di fuori di ogni misura. Al di là della passione americana per le armi (e in particolare per i black rifle, dei quali si stima che in tutta l’Unione vi siano non meno di 5 milioni di possessori, anche se la stima appare evidentemente per difetto), infatti, la proposta di espropriazione (seppur contro indennizzo, questo è ovvio) da parte dell’autorità rappresenta un vero e proprio attentato a uno dei principi più sacri dello spirito americano, che è quello della proprietà privata e della capacità imprenditoriale di una nazione. Sarà interessante capire come, in Virginia come nell’intera federazione, si potrà portare avanti queste proposte, senza alienarsi il consenso di massicci strati della popolazione, e non si parla solo dell’elettorato repubblicano…