Il tribunale del riesame di Brescia dispone il dissequestro di altri 35 esemplari, aprendo la strada al rientro a casa generalizzato per le oltre 1.200 armi sequestrate nel 2014
La vicenda del sequestro su tutto il territorio nazionale delle carabine Zastava M76 calibro 8×57, per un totale di oltre 1.200 esemplari, è iniziata nell’ormai lontano 2014 e si è rivelata molto complessa e ingarbugliata. Per chi se la fosse persa, ricordiamo che l’operazione è scaturita dalla constatazione da parte del Banco di prova che in determinate circostanze, cioè ponendo la leva della sicura manuale in posizione intermedia, questo tipo di arma potesse sparare a raffica. Come è noto, alla fine del 2018 l’avvocato Antonio Bana, presidente di Assoarmieri, è riuscito a ottenere un primo dissequestro di 10 esemplari a suo tempo importati dalla Nuova Jager di Basaluzzo (Al), che peraltro prima della commercializzazione avevano subìto un intervento di demilitarizzazione. Restava da risolvere, al di là delle vicende processuali che vedono coinvolti gli importatori che si sono succeduti negli anni, il nodo sul destino delle restanti armi, che non avevano subito all’atto della commercializzazione, alcuna procedura di demilitarizzazione (perché nessuno si era reso conto che fosse necessaria).
L’avvocato Antonio Bana non ha cessato di interessarsi alla questione, dopo la felice conclusione dell’iter per le carabine Nuova jager: ha assunto, così, il patrocinio di 35 proprietari di queste armi, portando avanti la battaglia davanti al Gip del tribunale di Brescia, chiedendo anche per queste armi (che non avevano subito demilitarizzazione) il dissequestro, condizionato alla preventiva demilitarizzazione e verifica da parte del Banco di prova. Lo scorso 2 settembre, il Gip ha respinto la richiesta argomentando che il procedimento penale a carico degli indagati fosse ancora in corso (sub judice) e che, essendo le armi in questione da considerarsi da guerra perché in grado di sparare a raffica, all’esito del giudizio fossero suscettibili di confisca obbligatoria. Il Gip argomentò anche che le operazioni di demilitarizzazione fossero “inconciliabili con le esigenze di accertamento penale della pendente fase di cognizione” e che quindi l’istanza non fosse accoglibile.
L’avvocato Bana ha ovviamente proposto appello al tribunale del riesame, il quale ha annullato la precedente pronuncia disponendo invece il dissequestro di queste 35 carabine. Le motivazioni della decisione sono di particolare importanza, in quanto possono essere logicamente estese anche al resto delle carabine ancora sotto sequestro, schiudendo la strada al loro ritorno a casa.
Il tribunale del riesame ha osservato che: “La corte di Cassazione aveva disposto il dissequestro, nell’ambito della presente vicenda, e la restituzione a terzi proprietari di buona fede delle carabine Zastava M76, carabine tutte, peraltro, iscritte nel catalogo nazionale delle armi comuni da sparo e classificate come tali dal Bnp di Gardone V.T., iscrizione avvenuta con il parere favorevole della Commissione consultiva centrale per il controllo delle armi; le armi quindi, non erano predisposte dalla produzione per l’impiego a raffica, altrimenti non sarebbero state iscritte formalmente nel catalogo nei termini di cui sopra; si trattava di un mero difetto di progettazione del congegno di scatto in quanto tale condizione di impiego (lo sparo a raffica) era incompatibile con le caratteristiche strutturali dell’arma; ben 12 delle 35 armi di cui veniva chiesto il dissequestro non erano in grado di sparare a raffica anche secondo il consulente tecnico d’accusa; era comunque possibile ovviare al difetto con una modifica tecnica su ciascuna arma, estremamente semplice, in esito alla quale le armi rientrerebbero pacificamente nella categoria delle armi comuni da sparo; con riguardo alle modifiche proposte, già si erano pronunciati positivamente il Bnp e lo stabilimento di polizia di Stato di Senigallia; le esigenze di natura probatoria ben potevano essere garantite con gli atti di accertamenti tecnici già svolti; il meccanismo di cui all’articolo 85 disp. Att. c.p.p. era applicabile anche al sequestro preventivo”.
La corte ha quindi ammesso il dissequestro di tali armi, essendo tra l’altro diventata ormai irrilevante (in seguito all’entrata in vigore del decreto legislativo 104 del 2018) la questione relativa al numero di colpi contenuti nei caricatori (10 anziché 5 come previsto in sede di iscrizione nel catalogo nazionale). La corte ha inoltre considerato che “non potendo certo essere quella dei fini probatori, vertendosi in tema di sequestro preventivo, la ragione per ritenere impraticabile il percorso della modifica tecnica, dovendosi solo ovviare a un difetto di produzione che renda effettivo il blocco del cane anche a grilletto premuto e quindi che ostacoli lo sparo a raffica. Tale adattamento correttivo escluderebbe la possibilità di esplodere colpi ripetutamente e quindi comporterebbe la cosiddetta demilitarizzazione di tali armi non più rientranti, a verifica effettuata, nella categoria delle armi da guerra obbligatoriamente confiscabili. Tale conclusione è ossequiosa del principio in linea generale espresso dalla suprema corte secondo il quale (cfr da ultimo Cass. Sez. III sent. N. 40399 del 27.6.2019 rv 276936) “in tema di restituzione di cose in sequestro con imposizione di prescrizioni, il vincolo ablativo sui beni, in esso dovendosi includere anche quello derivante da sequestro preventivo, cessa non già per effetto della mera ultimazione, nei termini previsti, delle condotte oggetto delle prescrizioni, ma solo quando sia stata verificata da parte del giudice la puntuale esecuzione delle prescrizioni stesse”. Ne consegue che il gravame può essere accolto, subordinando la restituzione delle armi alla effettuazione della modifica impetidiva di esplosione a raffica dei colpi e alla successiva verifica tecnica da parte del Bnp e del giudice procedente”.
È naturalmente possibile che contro questa decisione, la procura decida di adire ricorso in Cassazione (per le 10 Zastava di Nuova jager lo fece…). Le motivazioni tuttavia espresse dal tribunale del riesame fanno ritenere che, anche in tal caso, davanti alla suprema corte le eventuali richieste di segno contrario da parte della procura vengano opportunamente (e definitivamente) rintuzzate. A quel punto, le armi potranno essere legittimamente consegnate a una delle aziende importatrici, in possesso di licenza ex art. 28 Tulps, per essere modificate e, infine, inviate al Banco di prova per la verifica. Una volta comunicato al tribunale il completamento dell’iter, saranno infine restituite ai legittimi proprietari. È evidente che le carabine ancora sotto sequestro, che non sono ancora state oggetto di una valutazione individuale, potranno subire il medesimo destino, nel momento in cui venga richiesto il dissequestro con le medesime motivazioni e modalità. Dopo tante battaglie e tanta fatica, finalmente quindi ciò che appariva logico e sensato, comincia anche a diventare reale. Di ciò va dato merito a chi, come il presidente Bana, ha continuato a portare avanti la battaglia con tenacia, coraggio e anche con la certezza del proprio buon diritto.