La senatrice De Petris propone di mandare i poliziotti a scuola di non violenza. E il web esplode…
L’idea è della senatrice Loredana De Petris (Liberi e uguali), che ha presentato un apposito disegno di legge (n. 77) in Senato per “l’inclusione della conoscenza e dell’addestramento all’uso delle risorse della nonviolenza nell’ambito dei percorsi didattici per l’istruzione, la formazione e l’aggiornamento del personale delle forze di polizia”. La notizia sta ovviamente facendo discutere e ha suscitato, specialmente sul web, una vera e propria esplosione di critiche e commenti sfavorevoli. Tra le motivazioni addotte dalla senatrice per giustificare un progetto di legge siffatto, c’è la considerazione che “Da diversi anni si assiste a episodi esecrabili che nel linguaggio dei media vengono indicati come “morti di Stato”. Sono storie di fermati dalle forze dell’ordine e successivamente deceduti, come i casi eclatanti di Stefano Cucchi, Federico Aldovrandi, Giuseppe Uva, Michele Ferrulli, Carlo Saturno, solo per rimanere a quelli che hanno avuto una maggior risonanza mediatica”. Problema per il quale, secondo la senatrice, “si pone in modo forte e urgente la necessità di dotare le forze dell’ordine delle cognizioni e degli strumenti che l’ormai vasto campo di ricerche e di esperienze della nonviolenza mette a disposizione, poiché in situazioni critiche ciò può “fare la differenza” e finanche contribuire a salvare delle vite”.
Per quanto riguarda la risposta da parte dei diretti interessati, al momento si registra il commento del segretario generale del Sap (Sindacato autonomo di polizia), Stefano Paoloni: “La De Petris, evidentemente, non ha cognizione alcuna di ciò che accade in mezzo alla strada quotidianamente e durante le manifestazioni. Chi ha bisogno di essere educato non è certo il professionista della sicurezza come il poliziotto, addestrato quotidianamente per garantire l’ordine e la sicurezza pubblica. Forse ci vorrebbe una legge e un corso per rieducare e disarmare i manifestanti violenti. Non rispettano la legge e i poliziotti che in quei momenti hanno il dovere di farla rispettare e, spesso, anche se colti e arrestati in flagranza, all’indomani sono già liberi”. “Chi sbaglia è giusto che paghi”, prosegue Paoloni, “ci affidiamo alla correttezza della giustizia, ma è impensabile che l’intera polizia di Stato abbia bisogno dei corsi indetti da certa politica che tutela e legittima ideologicamente e moralmente i violenti. Perché invece non si pensa a dotare le forze dell’ordine di strumenti che limitino il contatto fisico, perché non accettare la nostra proposta di installare telecamere su divise, auto di servizio e celle di sicurezza? Le telecamere non perdonano nessuno e servono la verità. Ma forse questo non conviene, perché lì dove c’è la verità, non si può mettere alla gogna il poliziotto e trarne benefici”.
Per parte nostra, non possiamo fare a meno di sottolineare come le nostre forze dell’ordine siano rimaste per anni prive di qualsivoglia strumento di autodifesa alternativo rispetto alle nude mani o all’arma d’ordinanza: solo da pochi anni è stata autorizzata la distribuzione degli spray antiaggressione che, tuttavia, è ancora ben lungi dall’essere generalizzata e solo nelle ultime settimane si sta iniziando a parlare di una sperimentazione in seno all’arma dei carabinieri del Taser, con un ritardo di anni, se non decenni, rispetto agli altri Paesi europei.
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