È l’arma a ripetizione manuale prodotta, probabilmente, nel maggior numero di esemplari. Ecco perché nelle armerie, ultimamente, si può trovare per cifre intorno ai 200 euro e forse per questo, complice anche l’aspetto un po’ rozzo, è snobbata dai “puristi” del collezionismo, quelli per intenderci che “se non è Mauser è un rottame”. Eppure è un’arma, oltre che significativa dal punto di vista storico per essere una delle grandi protagoniste della seconda guerra mondiale, anche ben costruita, affidabile, razionale, semplice e, in fin dei conti, anche relativamente precisa (con le giuste ricariche). Il modello 1891/30 è figlio, per così dire, del fucile Mosin Nagant 1891 da dragoni. Già, perché all’atto della sua nascita, il Mosin Nagant fu il frutto di un parto trigemellare: da una parte il fucile standard per la fanteria, dall’altra le versioni per cosacchi e dragoni.
La differenza era tutto sommato modesta e a ben vedere inutile, tanto che dopo il caos della prima guerra mondiale e della rivoluzione bolscevica, le autorità sovietiche decisero di razionalizzare, autorizzando la prosecuzione della produzione del solo modello per dragoni (3 ottobre 1922).
Su questa base, due anni più tardi, i tecnici russi presero in considerazione l’idea di apportare anche alcuni ammodernamenti e semplificazioni.
I primi prototipi furono pronti nel 1927, il fucile modificato fu adottato ufficialmente il 28 aprile 1930 con il nome di vintovka obrazets 1891/30 goda. Rispetto al fucile per dragoni, la canna era più corta di 5 mm (arrivando così a 728 mm), l’alzo più semplice, a tangente tarato da 100 a 2.000 metri (anziché in arshin, cioè passi, pari a 711,2 mm) in conseguenza dell’adozione del sistema metrico decimale (per la verità, la “rinumerazione” degli alzi era già cominciata qualche anno prima sui fucili esistenti), il mirino a palo protetto da tunnel anziché a lama aperta. Ritoccato anche il castello, a sezione circolare anziché esagonale (ma i pezzi già prodotti furono comunque utilizzati, almeno fino al 1936), e le fascette deputate a trattenere il copricanna. Anche la baionetta è stata modernizzata: sempre alla Vauban, quindi con manicotto integrale che si fissa intorno alla canna, non ha però più la ghiera rotante di ritegno, tipicamente ottocentesca, sostituita da un pulsante caricato a molla. Il sistema di alimentazione è costituito da un serbatoio fisso, monofilare, con l’elevatore incernierato all’estremità anteriore e spinto verso l’alto da due molle contrapposte che agiscono su una cerniera a “Z” collegata all’elevatore stesso.
Il riempimento del serbatoio può essere effettuato manualmente colpo per colpo oppure simultaneamente con i cinque colpi di cui è capace, grazie a piastrine usa e getta tipo Mauser da inserire nell’apposita guida sull’azione. Per lo svuotamento rapido, è possibile far basculare in avanti il fondello del serbatoio agendo sul relativo ritegno posteriore. La distanza tra l’estremità inferiore della piastrina e il labbro elastico di ritenzione delle cartucce (sul lato sinistro dell’azione) e la reciproca posizione sono tali da consentire ai bossoli in entrata di “aggiustarsi” con la posizione dei rispettivi fondelli, in modo che quello della cartuccia superiore sia sempre davanti a quello della cartuccia seguente, a prescindere da come le cartucce siano state inserite nella piastrina. Questo è di fondamentale importanza per una cartuccia rimmed come la 7,62x54R, perché se, invece, il fondello della cartuccia più alta nel serbatoio fosse dietro a quello della cartuccia più bassa, l’otturatore non riuscirebbe a spingere il colpo in canna, traducendosi ciò in un inceppamento sicuro.
Abbiamo fatto numerose prove con le cartucce disposte nei modi più fantasiosi sulla piastrina, ma abbiamo potuto verificare che l’inserimento dei colpi nel serbatoio avviene sempre nel modo corretto.
Il labbro del serbatoio non esaurisce la propria funzione nel trattenere le cartucce, ma ha anzi un ruolo non indifferente nel funzionamento dell’arma: innanzitutto, un dente sporgente all’estremità posteriore funge da espulsore, consentendo la caduta del bossolo fuori dall’arma con il movimento retrogrado dell’otturatore. Un secondo dente, posto nella parte inferiore del labbro, trattiene la seconda cartuccia del serbatoio, impedendole di risalire spinta dall’elevatore quando la cartuccia più alta viene inserita in canna. Questo perché, se il movimento di caricamento fosse incompleto, si potrebbe verificare una doppia alimentazione, con conseguente “intoppo” delle cartucce e inceppamento. Solo quando l’otturatore viene ruotato verso destra, con il movimento di chiusura (e quindi la prima cartuccia è definitivamente entrata in camera) il labbro viene spinto all’interno della sua sede, liberando quindi la cartuccia che può salire per essere prelevata dall’otturatore nel successivo movimento di va e vieni.
Un’alimentazione controllata e sicura, quindi, ottenuta con un numero di pezzi veramente minimo. L’otturatore del Mosin Nagant è girevole scorrevole, con chiusura a due alette frontali contrapposte.
L’armamento del percussore avviene con il movimento di apertura, grazie a un gioco di piani inclinati. Un aspetto caratteristico dell’otturatore, che lo differenzia nettamente da quasi tutte le altre armi Ex ordinanza, è che in posizione di chiusura le alette si trovano sul piano orizzontale, mentre in posizione di apertura sul piano verticale. Sul Mauser e sul nostro Carcano 1891 (ma anche sullo Springfield 1903 e mille altri), è esattamente il contrario.
Meccanicamente, è piuttosto complesso e composto da tre insiemi principali: il corpo, che reca il corto e tozzo manubrio di armamento e contiene il percussore con la molla principale e il noce; la testa, amovibile, con i due tenoni frontali di chiusura e l’estrattore; la rotaia inferiore, che ha lo scopo di garantire l’allineamento e vincolare tutti gli altri elementi.
La soluzione della testa amovibile rispetto al corpo dell’otturatore era piuttosto comune sul finire del XIX secolo, visto che è stata adottata per esempio in Germania (Gewehr 1888), in Gran Bretagna (Lee), in Romania e Olanda (Mannlicher 1893 e 95) e così via. Ha il vantaggio di consentire una più semplice regolazione dello head space (si sostituisce solo la testa, anziché tutto l’otturatore), per contro comporta una maggior complessità generale e una maggior delicatezza teorica.
I tre elementi principali dell’otturatore Mosin sono vincolati per mezzo di una serie di innesti a baionetta e, una volta che il percussore è in posizione arretrata, è impossibile qualsiasi movimento indesiderato e l’insieme si comporta come un tutt’uno. Per procedere allo smontaggio, dopo aver rimosso l’otturatore dall’arma, è sufficiente disarmare l’otturatore, liberando così la testa che può essere ruotata e sfilata. Questo consente la rotazione e rimozione della boccola a cui è vincolata la rotaia centrale, lasciando libero il corpo.
Il percussore è vincolato al tappo-noce posteriore per mezzo di una filettatura e rispetto alla testa ha un notevole lasco orizzontale: cioè, quando arriva a battuta è perché il noce posteriore ha esaurito la sua corsa contro l’otturatore, non perché il percussore abbia urtato con una propria spalla contro la parte interna della testa. Ne consegue che, dopo aver rimosso la testa dell’otturatore, svitando e avvitando il percussore (la coda presenta lo spacco per il cacciavite) è possibile regolare la sporgenza della punta e ottimizzare, così, la percussione. In realtà è possibile effettuare regolazioni solo di mezzo giro alla volta, perché sui lati del corpo del percussore (che nasce a sezione circolare) vi sono due fresature, che lo rendono a sezione rettangolare con i lati minori curvilinei.
La sezione della sede nella testa dell’otturatore copia quella del percussore, quindi se la rotazione è inferiore a 180 gradi i due elementi non coincidono e non è possibile rimettere a posto la testa.
Per verificare la corretta sporgenza del percussore (soprattutto dopo che si è proceduto a uno smontaggio totale), nel cacciavite multiuso in dotazione sono praticate due tacche numerate, corrispondenti alla sporgenza minima e massima ammessa.
La calciatura è in un solo pezzo, la pala ha un caratteristico profilo “a prosciutto” (sarà poco tecnico, ma rende l’idea), il copricanna è a tutta lunghezza fornito di terminali in ferro e trattenuto per mezzo di due fascette elastiche tenute in sito da linguette. All’estremità anteriore della calciatura è presente un semplice bocchino in ferro che, diversamente dalla maggior parte delle armi Ex ordinanza, non circonda la canna e non serve per il fissaggio della baionetta (che invece interessa il mirino). All’altezza della vite anteriore dell’azione, è presente un traversino passante di rinforzo e una coppia di scanalature per la presa da parte della mano debole. Abbiamo allestito ricariche piuttosto varie, con pesi di palla compresi tra 123 e 182 grs, per osservare il comportamento sul bersaglio.
In verità, la palla militare peserebbe 150 grs, ma il risultato migliore, come si può notare dalle rosate, è stato ottenuto con palle match del canonico peso di 174 grs. Canonico nel senso che le canne russe sono forate a .311 pollici, proprio come quelle dei Lee inglesi, e infatti le palle standard del .303 British (Mk 7) hanno un peso di 174 grs.
Con le Sierra Matchking di 174 grs, spinte da 44 grs di Lovex S060-02, siamo riusciti a piazzare tre colpi in 20 mm, sparando in appoggio anteriore alla distanza di 100 metri. Questo valore può essere, a nostro avviso, ulteriormente ridotto lavorando ancora sulla dose di polvere e utilizzando bossoli fire-formed sulla camera di scoppio dell’esemplare.
Per contro, i risultati ottenuti con le palle di 123 e 182 grs sono stati piuttosto erratici, così come (del tutto a sorpresa) le prestazioni delle cartucce commerciali Sellier & Bellot dotate sempre di palla Sierra 174 grs. Strano, perché con un altro esemplare, dotato di ottica Pu, i raggruppamenti sono stati di ben altra caratura.
Del tutto contenuta la botta sulla spalla, agevoli da acquisire gli organi di mira, forse un po’ corto il manubrio di armamento che però compensa con il suo diametro a dir poco surdimensionato.
L’alimentazione è fluida e priva di impuntamenti, l’otturatore scorre che è un piacere, malgrado le finiture superficiali siano piuttosto sommarie. Insomma, che cosa si può dire di più? Con quello che costa nelle armerie italiane, vale certamente la pena di averne uno in rastrelliera!
L'articolo completo è stato pubblicato su Armi e Tiro – maggio 2009