Il presidente della neonata associazione Difesa Italia spiega come si può provare a "neutralizzare" la revisione della direttiva europea.
Nei giorni scorsi Andrea Gallinari, imprenditore nel settore della consulenza aziendale, romano, 50 anni, già promotore e fondatore del Comitato Direttiva 477 ha dato annuncio ufficiale della costituzione di una nuova associazione: Difesa Italia. Approfondiamo con lui le ragioni alla base di questa iniziativa.
Qualcuno sostiene che non si sentiva il bisogno di una nuova associazione che tutelasse gli interessi di collezionisti, tiratori sportivi e cacciatori. Ci spiega?
«In generale ritengo che la nascita di ogni nuova iniziativa associativa e di qualsiasi forma di attivismo civico nell’ambito del comparto dovrebbe essere salutata con compiacimento, in quanto sintomo di una crescente (finalmente!) presa di coscienza dell’esigenza di rendersi parte attiva nella difesa dei diritti e dei legittimi interessi dei vari attori del settore. Il comparto, gli operatori della filiera economica ed i cittadini tiratori, cacciatori, collezionisti sono infatti da anni oggetto di mistificazioni di matrice ideologica e di attacchi tesi ad una progressiva – ingiusta – compressione delle discipline del tiro, dell’attività venatoria e della prerogative di esercitare il diritto alla legittima difesa.
Come fondatore e presidente del Comitato Direttiva 477 ritenevo – e oggi ne sono più che mai convinto – che nell'attuale scenario politico nazionale ed europeo, per salvaguardare i diritti dei legali possessori di armi sia indispensabile l'unione dei vari attori della filiera in un'organizzazione rappresentativa degli interessi comuni, capace di gestire il rapporto negoziale con le istituzioni secondo i registri di una regia condivisa e integrata e con una prospettiva non solo di breve termine. Pur a fronte di encomiabili iniziative per “fare sistema” promosse negli ultimi mesi e pur riscontrando una nuova sensibilità e apprezzabili progressi sul tema, non siamo ancora arrivati allo sviluppo di un simile soggetto. Le ragioni sono molteplici: interessi specifici prevalenti, diffidenza in parte giustificata dall'esito di alcune pregresse iniziative, storica attitudine a intervenire su reazione rispetto alle aggressioni politiche e mediatiche, enorme sottovalutazione della leva della comunicazione sociale».
Quali sono le ragioni delle sue dimissioni dal Comitato Direttiva 477, di cui era fondatore e presidente?
«Il Comitato Direttiva 477 ha iniziato sin da subito a lavorare sul programma di obiettivi di cui ho appena fatto cenno, con successo – stabilendo rapidamente rapporti di collaborazione e dialogo con le più note associazioni del settore – ma incontrando difficoltà operative crescenti al moltiplicarsi degli impegni e delle attività. Nell'estate 2016 ho maturato la convinzione che per mantenere la corretta progressione sul programma di lavoro e sul conseguimento degli obiettivi predefiniti, fosse indispensabile allargare la compagine del consiglio direttivo, sia per distribuire opportunamente nuove deleghe e responsabilità, sia per riconoscere una prerogativa di voto e orientamento in seno al Comitato a tutti coloro che da oltre un anno avevano lavorato con grande dedizione e passione sui nostri obiettivi, conseguendo apprezzabili risultati. Ritenevo inoltre che il Comitato dovesse configurarsi come soggetto permeabile all'ingresso di rappresentanti di altre associazioni e organizzazioni del comparto.
Non trovando il consenso dei membri del consiglio direttivo su questa mia visione ho deciso di dimettermi da presidente del Cd477 per dare corpo a un nuovo soggetto associativo, ispirato a principi di attivismo sociale, consociativismo, partecipazione e meritocrazia, tutti puntualmente declinati nello statuto di Difesa Italia. In questo progetto, che vuole essere inclusivo e non alternativo ai soggetti del comparto già esistenti e tantomeno limitante delle loro prerogative, sono attivi con me buona parte delle persone con le quali ho già lavorato con soddisfazione nel Comitato Direttiva 477».
Veniamo all’attualità. Come giudica la revisione della direttiva europea sulle armi?
«Nei suoi contenuti e nella sua formulazione la nuova direttiva introduce previsioni ingiuste, incoerenti, totalmente inadeguate rispetto ai problemi che i suoi promotori hanno dichiarato di voler risolvere suo tramite e, soprattutto, configura enormi pericoli e gravi ipoteche per tutti gli attori del comparto, nessuno escluso: produttori, operatori commerciali, collezionisti, sportivi, cacciatori».
Gli attori del comparto italiano, come li definisce, hanno fatto abbastanza per tutelare se stessi?
«La prospettiva che nel nostro Paese è stata per molti anni adottata per impostare le azioni di tutela e di sviluppo del settore produttivo-commerciale e delle discipline del tiro e della caccia a mio avviso non è più perseguibile. I fattori principali che, nella mia prospettiva personale, ne inficiano l’efficacia sono due, e sono emersi chiaramente nel corso dell’iter di formulazione e approvazione della revisione normativa: a) l’esistenza di un fronte transnazionale di lobby di potere e di forze politiche fermamente determinate a perseguire un’azione di disarmo dei cittadini europei – sulle reali motivazioni si potrebbe discutere a lungo, personalmente non sono affatto convinto che si tratti solamente dell’effetto di visioni ideologicamente predeterminate – a prescindere dal credito effettivamente riconosciuto e riconoscibile alle motivazioni da essi addotte per giustificare tale operazione; b) la netta differenza che è stato possibile apprezzare nelle azioni di contrasto agite dalle diverse associazioni europee, per impegno, per efficacia, per numeri di appassionati (elettori) coinvolti: l’Italia non è certamente stata tra gli attori più efficaci, sebbene l’impegno non sia mancato».
Cosa si sarebbe dovuto fare?
«In Italia il comparto economico sviluppa quasi un punto di pil e i titolari di licenze d’armi sono circa 1,5 milioni. Inoltre, negli ultimi due anni e soprattutto nei mesi recenti, il tema della sicurezza e della legittima difesa sono divenuti centrali nel dibattito pubblico: gli oltre due milioni di firme raccolte in un brevissimo arco temporale dall’IdV – anche con l’aiuto di alcune associazioni – per promuovere una revisione dell’istituto della legittima difesa, rappresentano l’evidenza del prevalente orientamento dei cittadini italiani a mantenere e ampliare l’accesso legale alle armi da fuoco. Una conferma della volontà già espressa dagli italiani in un referendum specifico nel 1981. Sulla base di tali considerazioni è con rammarico che si deve ammettere che la mobilitazione promossa dalle diverse associazioni italiane, pur avendo certamente operato un significativo salto di qualità in termini di coordinamento, non è riuscita a conseguire i risultati ottenuti invece in altri Paesi, che, nei fatti, si sono dimostrati ben più attivi e più efficaci di noi nelle sedi istituzionali europee. Eppure il nostro impianto normativo in tema di armi, pur nella sua frammentarietà, è eccellente: la sua efficacia preventiva è comprovata dall’esiguità dell’incidenza statistica dei reati compiuti con armi legali sul totale dei crimini violenti. Quindi avrebbe potuto – e dovuto! – essere portato a modello nelle sedi opportune per ispirare la formulazione dei correttivi della direttiva armi europea, i cui deficit erano peraltro da riconoscersi soprattutto nella sua mancata applicazione da parte di alcune nazioni dell’Est. Non è accaduto, perché è mancata la necessaria pressione sulle istituzioni e sulle forze politiche preposte a rappresentarci in Europa. È, invece, accaduto il contrario».
Eppure il comparto si è compattato anche a livello europeo e Anpam ha definito la revisione un miglioramento rispetto alle prima formulazione…
«Anche io ritengo, in ciò unendomi alle considerazioni già espresse da altri osservatori, che l’azione della Commissione Ue finalizzata a comprimere quanto più possibile il diritto di accesso alle armi legali e agita con grande sfrontatezza, persino in deroga ai regolamenti vigenti( per esempio la mancata realizzazione dell’impact assessment economico e il mancato riscontro ai risultati delle indagini pubbliche promosse dalla stessa Commissione) abbia, in ultima analisi, condotto al consolidamento di un network europeo di elettori organizzati in associazioni e fortemente determinati a difendere le loro passioni ed interessi legali. Nondimeno, la revisione normativa approvata introduce un sensibile peggioramento delle prerogative di accesso e detenzione delle armi legali. Certamente non quelle previste nella sua formulazione originale, estremamente vessatoria, ma la nuova Direttiva resta comunque articolata su enormi, quanto indebite, limitazioni, che si tradurranno in gravi danni economici per gli operatori e in importanti ostacoli per tutti i legali detentori di armi civili, sportive e da caccia e per i collezionisti, tutti equiparati a potenziali sodali del terrorismo islamico. Non ravviso quindi elementi sufficienti per riconoscere un bilancio realmente positivo nel confronto tra sforzi profusi e risultati ottenuti».
È convinto che esistano spazi di manovra in occasione del recepimento della revisione nel nostro ordinamento?
«Siamo appena entrati nella fase più delicata del problema. L’indeterminatezza della nuova direttiva lascia un ampio grado di libertà agli Stati membri per la sua declinazione nelle rispettive situazioni normative vigenti, a fronte di un orizzonte temporale molto contratto, ovvero soli 15 mesi. Si delinea quindi uno scenario a dir poco inquietante, la cui gestione richiede a nostro avviso una responsabilizzazione di tutti gli attori del settore per coordinarsi – vincendo i tradizionali particolarismi – nello sforzo di creare la capacità di pressione necessaria a indirizzare correttamente l’azione del legislatore e a limitare l’ingerenza di soggetti che non hanno, ma sarebbe più corretto dire “non dovrebbero avere”, prerogative di legiferazione, la cui facoltà in Italia è del solo parlamento sovrano, così come chiaramente ribadito dall’esito del voto dei cittadini italiani nel recente referendum costituzionale. Sulla base di queste considerazioni, siamo fermamente convinti che le direttrici su cui impegnarsi siano le seguenti: a) organizzare il dissenso e l’attuale delusione e sconforto degli elettori-titolari di licenze di armi e degli attori economici del comparto in una precisa direttrice di voto, favorevole ai soli soggetti politici che dimostrino – nei fatti – la volontà di tutela dei nostri diritti ed interessi legittimi. A tale proposito mi sembra utile ricordare due circostanze: nelle ultime elezioni politiche sono stati dirimenti per la vittoria di uno schieramento sull’altro poco meno di 300.000 voti. I titolari di licenze d’armi in Italia sono quasi 1,5 milioni. I termini per il recepimento della normativa europea nella legislazione nazionale coincidono quasi con la fine della legislatura e le nuove elezioni politiche; b) il confronto con le istituzioni – per essere realmente efficace – deve superare il paradigma dell’interlocuzione separata, che le Istituzioni e la politica hanno invece utilizzato con successo sino a ieri applicando la logica del “divide et impera”, frammentando sistematicamente il fronte delle difesa dei nostri diritti con lo scambio di “concessioni” a singoli attori del settore e con pregiudizio del riconoscimento di prerogative comuni. Pensiamo sia indispensabile realizzare in tempi brevissimi una confederazione, in cui tutte le associazioni e gli operatori convergano, conservando le loro specifiche prerogative statutarie ma conformandosi ad una regia di azione comune, concepita insieme, ma vincolante per tutti nel confronto con la politica e le istituzioni. Un tale soggetto potrebbe agire, in forza della sua collegialità, con il grado di assertività confacente all’attuale scenario, preservando i singoli soggetti federati. Nell’attuale scenario sono a grave rischio non solo importanti interessi economici, ma diritti civili fondamentali ! Non ci saranno sconti per nessuno nel caso di un recepimento normativo in senso restrittivo; c) occorre organizzare non solo la forza di pressione, ovvero l’orientamento di voto, di coloro che hanno già un interesse specifico legato all’uso/produzione/commercio delle armi civili, sportive e da caccia, ma anche e soprattutto il vasto bacino di consenso già esistente nell’opinione pubblica sul diritto di accesso alle armi per l’autodifesa. Un consenso ampiamente sottorappresentato dai media, attraverso un’attenta opera di disinformazione e di censura, a mio avviso riconducibile ad una precisa regia, i cui effetti io stesso ho sperimentato prima come appassionato, poi come fondatore e presidente del Comitato Direttiva 477 ed ora come socio promotore e presidente di Difesa Italia. È, però, possibile superare queste difficoltà e gli ostacoli, sia utilizzando strumenti che sono ben più efficaci delle trasmissioni televisive, radiofoniche, dei quotidiani, sia avvalendosi delle tecniche di comunicazione e di marketing oggi a nostra disposizione, a condizione di avvalersene con il rigore e con la serietà che la complessità dello scenario ci impone, abbandonando l’improvvisazione, investendo le risorse commisurate alla difficoltà del momento. Su questo punto specifico è mio convincimento che il settore armigero italiano sconti un significativo ritardo rispetto ad altri settori parimenti delicati ed ugualmente assoggettati al pericolo di involuzioni normative di ispirazione certamente non coerenti con gli interessi nazionali e con la volontà della maggioranza dei cittadini italiani. Si può e si deve fare molto, perché in questa direttrice di lavoro i risultati potenziali sono davvero paganti».
Come agirà Difesa Italia?
«Difesa Italia si ripromette di lavorare su queste tre direttrici e sin da subito lancia un appello a tutti gli attori del comparto (ed agli appassionati) per collaborare – con piene prerogative di voto e di indirizzo sulle iniziative – per costruire un soggetto federativo di scopo: limitare la possibile involuzione dell’impianto legislativo nazionale sulle armi e salvaguardare un fondamentale diritto civile di accesso alle armi per la difesa, lo sport, la caccia e il collezionismo».