Voci sempre più insistenti affermano che sarebbe stato un vero colpo di mano perpetrato questa volta ai danni di produttori e importatori da parte dei "soliti" del ministero dell'Interno quello che si è consumato venerdì scorso con l'approvazione dello Schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 26 ottobre 2010, n° 204.
L'articolo 2 della legge 110/75, modificato dal decreto dovrebbe infatti leggersi in questo modo: "Salvo che siano destinate alle Forze armate o ai Corpi armati dello Stato, ovvero all’esportazione, non è consentita l’introduzione nel territorio dello Stato e la vendita di armi da fuoco corte semiautomatiche o a ripetizione, che sono camerate per il munizionamento nel calibro 9×19 parabellum nonché di armi comuni da sparo, salvo quanto previsto per quelle per uso sportivo, per le armi antiche e per le repliche di armi antiche, con caricatori o serbatoi, fissi o amovibili, contenenti un numero superiore a 5 colpi per le armi lunghe ed un numero superiore a 15 colpi per le armi corte, nonché di tali caricatori e di ogni dispositivo progettato o adattato per attenuare il rumore causato da uno sparo. Per le repliche di armi antiche è ammesso un numero di colpi non superiore a 10". Dunque, così, senza la previsione nell'articolo 6 della salvaguardia delle "posizioni già acquisitesulla base della normativa vigente" anche per produzione e importazione "dei modelli iscritti nel catalogo nazionale delle armi comuni da sparo di cui all'abrogato articolo 7 della legge 18 aprile 1975, n.110" (come invece indicato chiaramente da entrambe le commissioni), all'entrata in vigore del decreto a questo punto non sappiamo in quale modo produttori e importatori dovrebbero disfarsi delle armi nei loro magazzini. Il danno sarebbe evidentemente incalcolabile e anche l'ennesima beffa rispetto alla volontà del parlamento.
Per la dolorosa questione dei caricatori da oltre i 5 colpi per le armi lunghe e i 15 per le armi corte (tranne che per le armi sportive valutate dal Banco sentite le federazioni sportive affiliate o associate al Coni), comunque, i parlamentari che si sono occupati della vicenda delle correzioni al correttivo del decreto 204 sono ottimisti. "A seguito di ricorso in sede comunitaria sui caricatori nessuna limitazione resterà in vigore". Vogliamo crederci e, in attesa della definizione anche del numero delle sportive detenibili che dovrebbe essere ampliato, a quanto ci hanno assicurato, perché non dubitiamo che tutti abbiano lavorato con coscienza per mettere a segno un punto a favore di appassionati e mercato, non certo per lasciare ogni decisione nelle mani del ministero. Resta da dire che effettivamente la formulazione uscita dalle commissioni (che nella loro composizione non ci sono certo amiche), lascia aperta, spalancata, la porta a un ricorso, probabilmente presentabile da parte di tutti gli interessati, che non potrà che avere un unico esito, favorevole agli appassionati.
Armi e tiro ha già pubblicato, qualche giorno fa, gli estremi della questione che qui riportiamo.
"la norma proposta presenta delle difficoltà applicative, dovute al fatto che le norme europee – che il provvedimento è chiamato ad attuare – e internazionali non comprendono i caricatori e i serbatoi tra le parti essenziali d'arma, e che quindi tali componenti non possono essere considerati come tali, non permette il loro controllo, dal momento che essi sono sottratti alla registrazione e alla tracciabilità. Non sembra pertanto che possa esserne efficacemente vietata la vendita e l'introduzione sul territorio nazionale, trattandosi di oggetti non registrati e già presenti in numero rilevantissimo. Inoltre, la norma avrebbe valore solo per il futuro, non potendosi applicare alle armi già detenute o precedentemente catalogate con più colpi. Ciò di fatto renderebbe impossibile assicurarsi della corretta attuazione e del rispetto della legge, perché renderebbe impossibile sapere quando un caricatore è stato acquistato o un serbatoio modificato, e quindi se la sua detenzione è legittima, determinando così un'inammissibile incertezza nell'applicazione della norma. La disposizione inoltre appare in evidente contrasto con l'intera Sezione II del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento militare). Difatti, la necessità di modificare irreversibilmente e in maniera indistinta, quando introdotte sul territorio nazionale, anche armi, non antiche, perché prodotte dopo il 1890, ma di rilevante valore storico perché vestigia di conflitti mondiali, appare in evidente contrasto con le norme che le tutelano, che vietano, nella sostanza, l'alterazione di tali oggetti, comminando una sanzione penale ai trasgressori. Tale contrasto rappresenta indubitabilmente la contrarietà al secondo comma dell'articolo 9 Cost., di cui occorre opportunamente tenere conto.
La motivazione della disposizione, contenuta nella relazione allegata al testo, secondo la quale la limitazione generale dei colpi sarebbe necessaria perché “non possono essere immesse sul mercato civile armi con capienza di colpi superiore a quelle destinate alle forze dell’ordine”, non sembra avere rilevante pregio. Ciò anche perché tutte le armi lunghe in dotazione alle forze dell’ordine hanno, in generale, un numero di colpi superiore a 5, e il numero di 15 per le armi corte deriva solo dalla mera evenienza che il modello adottato dalle forze dell’ordine ha tale capienza, che al momento dell’adozione, ormai diversi decenni or sono, rappresentava lo standard delle pistole semiautomatiche bifilari. Esistono infatti migliaia di modelli che, in vigenza dell’abolito catalogo nazionale, sono state riconosciuti quali “armi comuni da sparo” con decreto definitivo del Ministro dell’interno, e posseggono una capienza di colpi superiore a quella immaginata come limite invalicabile dalla disposizione proposta. Tali numerosissimi modelli sono presenti in numero rilevantissimo sul territorio nazionale quali armi regolarmente detenute, e, stante l’evidente impossibilità di applicare la limitazione in senso retroattivo, sarebbero comunque destinate a essere detenute e utilizzate anche nel futuro, cosicché l’unico effetto della norma proposta, in tal senso, nel caso in cui essa potesse essere applicabile, sarebbe quello di creare un’evidente discriminazione tra chi ha acquistato un’arma catalogata e chi, successivamente, la acquisterebbe come limitata a seguito della novella.
Proprio l’allontanamento dalla vigente cogenza delle categorie comunitarie armonizzate sembra generare un evidente contrasto con la direttiva 91/477/CEE e con i principi del diritto comunitario, poiché, impedendo la circolazione in Italia di armi permesse ai cittadini di tutti i Paesi membri dell'Unione europea, la limitazione finirebbe col discriminare il mercato italiano, separando dal mercato unico. Essa apparrebbe inoltre in contrasto con l'articolo 12 della predetta direttiva 91/477/CEE, che per espressa previsione dell'articolo 3, non può essere derogato dagli Stati membri, dal momento che sembrerebbe impedire a tiratori o cacciatori comunitari di recarsi in Italia portando a seguito armi regolarmente iscritte sulla loro Carta europea d'arma da fuoco, stante il divieto di introduzione sul territorio nazionale. Da ciò conseguirebbe, in ambito interno, la violazione del primo comma dell'articolo 117 Cost.
Inoltre, la necessità di differenziare i modelli delle armi nuove prodotte per il mercato nazionale da quelle destinate all’esportazione e al trasferimento intracomunitario impedire bene ai produttori le necessarie economie di scala, e rappresenterebbe un costo industriale difficilmente giustificabile all’interno del mercato unico europeo, costo che gli altri competitors comunitari non posseggono, verificandosi pertanto un evidente caso di “discriminazione alla rovescia”, ossia una situazione di svantaggio, subìto dai soggetti che si trovano in una “situazione interna”, che deriva dalla mancata applicazione a tali soggetti delle norme comunitarie che garantiscono le libertà di circolazione. Anche in tal senso, pertanto, la disposizione proposta sembrerebbe in contrasto con i princìpi dell’ordinamento comunitario, e, per conseguenza, con i vincoli previsti dal primo comma dell’articolo 117 Cost.
Altro elemento rilevante, che appare necessario sottolineare, è il fatto che la previsione dell’esenzione della limitazione per le armi sportive non appare in sé sufficiente per garantire la prosecuzione delle attività sportive con armi che necessitano di una maggiore capacità. Difatti molte di tali attività sportive svolte non si svolgono con armi riconosciute quali armi sportive, ma in generale con armi idonee all’attività venatoria o, per regolamento sportivo, proprio con armi corte comuni.
A prescindere inoltre da ogni considerazione tecnica o di opportunità, il Governo non ha specificato quale sia la norma della legge delega, l'articolo 36 della legge 7 luglio 2009, n. 88, che autorizzi, anche implicitamente, l'esercizio della funzione legislativa in relazione all'apposizione di limiti al numero di colpi delle armi detenute. Tale norma infatti non può essere la lettera a) del primo comma, poiché la disposizione proposta non incide sulla definizione di arma da fuoco e arma comune, che permane invariata, ma stabilisce invece l'impossibilità, per il futuro, di introdurre sul territorio nazionale armi con numero di colpi superiore, armi che, tuttavia, permangono armi comuni da sparo con riferimento a tutte le attività permesse e autorizzate e riguardo alla loro definizione generale, e potrebbero comunque essere legittimamente detenute.
La ratio della norma proposta è chiaramente specificata dalla relazione allegata, poiché essa è diretta a impedire "che armi d'assalto con un numero di colpi superiore, persino, a quelli in dotazione alle forze dell'ordine possano essere immesse sul mercato civile". In tale ottica, la norma proposta non sembra essere adeguata allo scopo, per i motivi già esposti, né appare proporzionata, introducendo un limite generale con la finalità di introdurne uno specifico. In questo senso, deve essere valutata l'adeguatezza della disposizione proposta rispetto all'articolo 32 primo comma lettera c) della legge 24 dicembre 2012, n. 234, poiché viene introdotto un livello di regolazione superiore a quello minimo richiesto dalla direttiva in attuazione, in relazione all'articolo 14, commi 24 bis, ter e quater della legge 28 novembre 2005, n. 246.
In tal senso si ritiene:
1) che la limitazione debba svilupparsi esclusivamente verso le "armi d'assalto" citate dalla relazione, ossia verso i modelli di fucili semiautomatici ad anima rigata una cui versione completamente automatica è in dotazione a forze armate o forze di polizia italiane o straniere;
2) che, conseguentemente, debbano comunque essere escluse da tale limite le armi spiccatamente da caccia, le armi ad anima liscia e le armi a percussione anulare, che non sono suscettibili di utilizzo militare o di polizia, nonché le armi previste dalla Sezione II del d. lgs. 66/2010;
3) che, come correttamente individuato dal Governo, le armi sportive debbano essere esentate da tale limite, disponendo che le armi della categoria individuata che abbiano un numero di colpi superiore debbano essere considerate automaticamente sportive in seguito al loro riconoscimento, senza alcuna discrezionalità in merito".