Nel maxiemendamento alla legge di stabilità che il governo Berlusconi si appresta ad approvare in un week end di fuoco, torna l’abolizione del catalogo nazionale delle armi, già inserito, poi tolto in fretta e furia, nella legge di rifinanziamento delle missioni all’estero dei nostri soldati.
Al comma 7 dell’articolo 4 undecies, nel quale si affronta la riduzione degli oneri amministrativi per imprese e cittadini, è scritto che “a decorrere dall’entrata in vigore della presente legge è abrogato l’articolo 7 della legge 18 aprile 1975, numero 110, recante Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi”.
Considerando che il maxi emendamento dovrebbe essere “blindato”, tra i non voto e le astensioni dell’opposizione e i voti favorevoli della maggioranza, appare quasi scontata l’approvazione in blocco del provvedimento di quella che una volta si chiamava legge finanziaria dello Stato. Lo scenario che si apre con la probabile abolizione dell’ufficio del catalogo, però, non è così chiaro e dopo la pubblicazione della legge di stabilità sulla Gazzetta Ufficiale, che anch’essa dovrebbe avvenire in tempi rapidissimi, potrebbe crearsi un vuoto legislativo, lasciando così pericoloso spazio ai creativi funzionari delle varie questure italiane. Se poi a questo aggiungiamo che in questi ultimi anni i danni più ingenti al settore armiero sono legati ad alcune scriteriate decisioni assunte dalla commissione consultiva centrale presso il ministero dell’Interno, con l’ufficio del catalogo relegato al ruolo di esecutore materiale, allora un pizzico di preoccupazione è più che legittima. L’augurio è che dopo l’approvazione ci sia presto un ulteriore adeguamento legislativo che chiarisca, fondamentalmente, il ruolo della commissione consultiva e del Banco di prova, soggetti che potrebbero essere chiamati a normare l’immissione sul mercato italiano di nuove armi.
Non vorremmo, infatti, che il nobile obiettivo di ridurre gli oneri amministrativi per imprese e cittadini si trasformasse in un pericoloso boomerang per le aziende e per gli appassionati per tutto il periodo che potrebbe passare tra l’approvazione della legge di stabilità e il provvedimento (Decreto? Circolare? Legge quadro?) chiarificatore.
Nel frattempo, c’è chi non perde occasione per spararle grosse, affidando alle pagine de La Repubblica, sempre sensibile, ma mai super partes, per i temi antiarmi: «Così si va verso uno smantellamento del controllo sulle armi leggere e sull'export», ha sottolineato Giulio Marcon portavoce della campagna Sbilanciamoci e aderente alla Rete italiana per il disarmo. «L’Italia rischia un passo verso un Far west armiero che può favorire la criminalità organizzata».
Con l'eliminazione del catalogo delle armi da sparo «liberalizzano il commercio delle armi più pericolose in Italia», è l’illuminato allarme che arriva dall'Associazione nazionale funzionari di polizia (Anfp), che con il suo segretario, Enzo Letizia, non nuovo ad apocalittiche e inutilmente allarmistiche campagne antiarmi, ha aggiunto che con la cancellazione aumenteranno «vertiginosamente le spese per il loro controllo, che dovranno essere sostenute dai cittadini. È scandaloso che i lobbisti e gli affaristi del mondo delle armi approfittino del gravissimo momento di difficoltà del Paese per tentare, con un sotterfugio, di ottenere dal parlamento in via speditiva ciò che il parlamento ha di recente loro negato. Ma d'altronde, gli italiani sanno bene che certi personaggi, collegati a politici della loro stessa risma, non si fanno scrupolo della sicurezza collettiva e dei costi di certe misure pur di continuare a ingrassare i loro portafogli».