L’apprezzamento del giudice

«Io sono sempre stato contrario a difendermi con le armi. Ma dopo tre rapine…. Però quello che è successo dopo è la conferma di quello che ho sempre pensato. Le armi bisogna lasciarle stare dove stanno». L’affermazione credo sarebbe stata diversa se i giudici della prima corte d’Assise di Milano l’avessero assolto per legittima difesa. A Giovanni Petrali, il tabaccaio che nel maggio del 2003 sparò a due rapinatori uccidendone uno e ferendo l’altro, invece, è stata … «Io sono sempre stato contrario a difendermi con le armi. Ma dopo tre rapine…. Però quello che è successo dopo è la conferma di quello che ho sempre pensato. Le armi bisogna lasciarle stare dove stanno». L’affermazione credo sarebbe stata diversa se i giudici della prima corte d’Assise di Milano l’ avessero assolto per legittima difesa. A Giovanni Petrali, il tabaccaio che nel maggio del 2003 sparò a due rapinatori uccidendone uno e ferendo l’altro, invece, è stata riconosciuta solo la legittima difesa “putativa” ed è stato condannato per omicidio colposo, per lesioni e per aver sparato fuori dal locale dove custodiva, legittimamente, una pistola. Il conto, alla fine, è di venti mesi. Luigi Cerqua, il presidente della corte, spiega che in quel momento Petrali aveva la convinzione di essere in pericolo, era convinto di sparare per salvarsi. E questo suo “errore” gli costa un anno di carcere. L’aver svuotato il caricatore, ed essere andato in buona parte a segno, è per la corte una colpa imperdonabile. Gli altri otto mesi sono per il porto abusivo d’arma. Fuori dal palazzo di giustizia alcuni militanti della Lega Nord espongono striscioni con scritto “Siamo tutti tabaccai”. E c’è anche un altro commerciante finito a giudizio per un fatto analogo, Giuseppe Maiocchi, il gioielliere che reagì alla tentata rapina da parte di un giovane montenegrino che venne ferito a morte per i colpi sparati dal figlio Rocco. Anche in quel caso la corte d’assise di Milano aveva riconosciuto la legittima difesa e aveva condannato Rocco Maiocchi a un anno e mezzo e suo padre Giuseppe a un mese. Non ha senso alcuno la condanna per porto abusivo, fuori del negozio: se l’ aggredito corre fuori dal negozio con la pistola in pugno, convinto della necessità di difendersi e il comportamento viene giudicati legittimo, anche se colposo, non si può certo giudicare abusivo il porto, né è previsto che possa essere “colposo”. Certo, non si può impunemente portare un’arma in previsione di doversi difendere se non si possiede l’autorizzazione specifica, ma la necessità di difendere un diritto legittimo, legittima anche il porto. Questo deve essere sfuggito all’apprezzamento del giudice, ma spero non sfugga agli avvocati difensori. Quanto al fatto che le armi sia meglio lasciarle dove stanno, valga la massima cruda quanto si vuole, ma realistica: “Meglio un cattivo processo che un bel funerale”. In ogni caso, il primo passo compiuto dall’autorità di pubblica sicurezza dopo l’evento luttuoso è senz’altro stato il sequestro dell’arma e la revoca del titolo autorizzatorio, quindi Petrali ora l’arma l’ha lasciata in questura. Giocoforza o suo malgrado… A una trasmissione televisiva alla quale ho partecipato nelle scorse settimane, sul tema della legittima difesa, ho conosciuto il veronese Michelangelo Rizzi. Una storia analoga: due anni e sei mesi di reclusione per aver ucciso un rapinatore, schedato con ben nove false identità, che stava introducendosi in casa sua con un complice. «Subito mi hanno disarmato, esponendo a mani nude la mia famiglia e me al rischio concreto della possibile vendetta dell’altro delinquente. Quella notte mi sono trovato solo a decidere, ho dovuto sostituirmi a uno Stato carente di sicurezza e ho dovuto uccidere un uomo. Il rimorso sarà sempre parte di me, ma se avessero fatto male a mia moglie non avrei più il coraggio di alzare gli occhi da terra…». Lo rifarebbe, se gli dovesse capitare di nuovo, ma anche lui le armi se le deve scordare. In appello Rizzi troverà un altro giudice che dovrà valutare il suo stato d’animo in un momento che nessuno si augura di dover vivere. Un giudice che valuterà, prima di ogni altra cosa, il fatto che Rizzi ha scelto di armarsi per esercitarsi al tiro e – anche – per non cedere alla violenza e all’ingiustizia, per difendere la famiglia e se stesso. Sì, siamo tutti tabaccai, siamo tutti Petrali, Maiocchi e Rizzi… Sarà apprezzato, questo, dal giudice? Forse no, ma è giusto che lo sappia.