Quello che l’invenzione della cartuccia a bossolo metallico ha significato per lo sviluppo delle armi portatili può essere riassunto con una sola parola: rivoluzione.
Oltre alla comodità di caricare la canna dalla parte della culatta, infatti, si scoprì che era possibile realizzare un sistema di chiusura semplice, visto che la funzione più complessa (quella di tenuta dei gas) era svolta dal bossolo. In conseguenza di ciò, l’otturatore doveva solo resistere alla spinta retrograda esercitata dal fondello del bossolo, senza per forza dover essere a tenuta ermetica.
Questo innescò una girandola di brevetti, invenzioni e migliorie sviluppate da centinaia di tecnici di tutto il mondo, dando vita a una serie pressoché infinita di armi monocolpo a retrocarica.
Visto che introdurre una cartuccia in canna era diventato così semplice, il passo successivo fu dotare l’arma di un qualche tipo di serbatoio, in modo che il solo movimento di apertura e chiusura dell’otturatore fosse sufficiente a estrarre il bossolo sparato, prelevare la cartuccia successiva nel serbatoio e introdurla in canna.
Già nel corso della guerra di Secessione americana, entrambe le parti in lotta scoprirono gli enormi vantaggi dell’arma a ripetizione, con i fucili a leva Henry e Spencer.
In Europa, pionieri della nuova classe di armi furono gli svizzeri, adottando nel 1869 il Vetterli a otturatore girevole-scorrevole. L’arma utilizzava una cartuccia a percussione anulare, ed era dotata di un serbatoio tubolare capace di ben 11 cartucce. Si trattava, per l’epoca, di una capacità di fuoco semplicemente impressionante.
L’ impero austro-ungarico, il più grande e potente dell’epoca, non poteva certamente farsi trovare impreparato: appena l’anno successivo, infatti, la prima carabina a ripetizione era assegnata in dotazione alla gendarmeria.
Si trattava del Fruwirth, anch’esso funzionante con un sistema di chiusura bolt-action e dotato di serbatoio tubolare sotto la canna, ma camerato per una più moderna e funzionale cartuccia a percussione centrale da 11 mm.
La munizione aveva un bossolo cilindrico, lungo appena 36 mm, che consentiva di avere un’azione particolarmente corta e compatta, ideale per l’armamento della gendarmeria. In compenso, la velocità iniziale della palla (pesante 370 grani) era di appena 300 m/sec: prestazioni sufficienti per un uso di polizia, inaccettabili per l’utilizzo militare.
Per avere un’arma credibile bisognava, quantomeno, che si riuscisse a utilizzare lo stesso tipo di cartuccia già in dotazione con le armi monocolpo.
La Prussia riuscì nell’intento nel 1884, aggiungendo all’ottimo Mauser 1871 a otturatore girevole scorrevole un serbatoio tubolare sotto la canna.
L’Austria-Ungheria non poteva permettersi certamente di restare indietro: da alcuni anni erano in corso esperimenti, sfociati in diversi tipi di carabine bolt-action con serbatoi tubolari sotto la canna, nel calcio, verticali a tramoggia e così via.
Il più promettente sembrava essere il Repetier gewehr M85: era dotato di un serbatoio fisso, sotto l’azione, alimentato da un pacchetto caricatore (contenente cinque cartucce calibro 11x58R, lo stesso del Werndl) introdotto dall’alto dopo aver aperto l’otturatore.
Una volta sparate tutte le munizioni, il pacchetto vuoto era espulso verso l’alto da una molla. Fu prodotto un lotto pilota di 5.000 pezzi, da assegnare alle autorità per prova: evidentemente, le qualità del fucile furono giudicate globalmente positive, ma si decise di adottare il serbatoio a caduta progettato da Ferdinand Von Mannlicher: la scatola del serbatoio aveva praticamente la stessa forma, ma era dotata di una feritoia rettangolare nella parte inferiore.
Il caricatore a pacchetto era sempre inserito dall’alto, ma una volta camerato l’ultimo colpo cadeva per gravità attraverso la feritoia sottostante. Questo consentì una notevole semplificazione costruttiva, a tutto vantaggio della robustezza.
La nuova versione fu adottata ufficialmente nel 1886 come Repetier gewehr M 86. Nello stesso anno, un altro Paese adottava un’arma a ripetizione, destinata a sconvolgere il “mercato” delle armi militari: era la Francia, con il Lebel modello 1886. Dal punto di vista strutturale, era concettualmente simile al Mauser 1871/84 e al Kropatschek (adottato dalla sola marina austriaca nel 1881), sempre alimentati da un serbatoio tubolare.
La novità, sensazionale per l’epoca, consisteva piuttosto nel munizionamento: la cartuccia francese era di piccolissimo calibro (per l’epoca), appena 8 mm. La palla pesava 230 grani. Il nuovo propellente senza fumo, sviluppato da Paul Vielle nello stesso anno, spingeva il proiettile alla rispettabile velocità di 630 m/sec. Ne risultò una traiettoria eccezionalmente tesa, con una gittata notevolmente superiore. Nuovi “attacchi di panico” pervasero l’Europa e riprese una nuova, furibonda corsa agli armamenti intesa a dotare i rispettivi eserciti di armi camerate per munizioni di piccolo calibro a polvere infume. Gli austriaci si trovarono un poco spiazzati: avevano appena adottato un fucile, che già era obsoleto. In attesa di avere le conoscenze necessarie a sviluppare un propellente infume idoneo, si progettò una cartuccia calibro 8 mm di concezione simile alla creatura francese, caricata però ancora a polvere nera: la velocità era comunque di 530 m/sec, sempre meglio dei 490 m/sec della 11 mm Werndl nella versione migliorata. La cosa più semplice, a quel punto, fu quella di modificare il modello 1886 calibro 11 mm, per adattarlo alla nuova cartuccia.
L’arma risultante fu adottata ufficialmente nel 1888. Appena due anni dopo, finalmente approntato il propellente infume, fu adottata una nuova versione ritoccata negli organi di mira, tarati per la traiettoria più tesa della cartuccia modello 1890 (che, infatti, sviluppava 620 m/sec alla bocca).
Una parte dei fucili modello 1888 fu convertita per sparare le nuove munizioni, avvitando ai lati dell’alzo due piastrine in ferro recanti le nuove distanze a cui corrispondeva ogni tacca dell’alzo. Le nuove armi furono denominate 1888/90. Anche una parte dei fucili modello 1886 fu convertita per l’utilizzo della cartuccia da 8 mm modello 90.
Tanto il modello 1886 quanto il modello 1888 sono stati prodotti dalla Osterreichische waffenfabrik geselleschaft di Steyr.
La produzione del primo modello fu arrestata dopo aver completato soltanto 87.000 pezzi (alcuni dicono 90.000). A questi vanno sommati i 5.000 Mannlicher 1885 che, però, non risultano essere stati impiegati operativamente.
I lotti di Mannlicher 1886 sono matricolati a blocchi di diecimila armi, da 0001 a 9.999. Sono state riscontrate matricole solo numeriche di quattro cifre, oppure matricole alfanumeriche con quattro cifre e i suffissi II, IIA, F, G, H, J, K. Sommando tutte queste armi, si arriva a 80.000 pezzi.
È probabile, quindi, che esista un ulteriore suffisso a coprire le restanti 10.000 armi prodotte.
La matricola è riportata sulla culatta, lato sinistro, e sulla pala del calcio. L’otturatore non porta matricola, ma solo la lettera K o, in qualche caso, il codice QII. Più comune, invece, risulta il modello 1888, del quale è accreditata una produzione di 290.000 pezzi.
I Mannlicher 1886 e 1888 sono meccanicamente identici, e molte parti sono addirittura intercambiabili.
Le uniche differenze risultano a carico della canna e del serbatoio. La canna del modello 1886 è lunga 805 mm, con una rigatura a sei principi con andamento destrorso. Quella del modello 1888 è, invece, lunga 765 mm, ed è solcata da sole quattro righe. A causa del differente diametro dei tubi, le baionette non sono intercambiabili, nonostante abbiano praticamente la stessa forma. Il principio di funzionamento utilizza un otturatore a corsa rettilinea (straight pull), con bloccaggio posteriore a tassello singolo. Tradotto in pratica, questo vuol dire che l’otturatore è composto di quattro parti fondamentali: il corpo, la testa, la manetta e il tassello inferiore.
La testa non è altro che un cilindretto filettato, che si avvita nella parte anteriore del corpo. Può essere sostituita, eventualmente, con altre di lunghezza differente per ottimizzare la battuta del fondello della cartuccia contro l’estremità posteriore della camera di cartuccia (head space). Il cilindro è trattenuto in posizione dall’unghia estrattrice, la cui lamina si incastra entro un’apposita fresatura laterale.
Il corpo dell’otturatore è essenzialmente un tubo cilindrico, cavo all’interno. Nella parte inferiore, appena prima della manetta di armamento, è ricavato uno snodo, sul quale è incernierato il tassello di chiusura. Questo è un blocchetto massiccio, all’interno del quale è praticata una fresatura a “T” rovesciata. Entro questa fresatura scorre un’apposita appendice del blocco della manetta di armamento. Il blocchetto sul quale è fissata la manetta di armamento è capace di una limitata escursione longitudinale entro il corpo dell’otturatore: questo fa sì che l’appendice, scorrendo dentro la fresatura del tassello di chiusura, costringa quest’ultimo ad abbassarsi e a sollevarsi.
Quando l’otturatore è chiuso, il tassello è forzato ad abbassarsi, andando ad appoggiare contro uno scasso nel castello. Il rinculo, quindi, esercita una spinta contro la testa dell’otturatore, che si trasmette al corpo e, a sua volta, al tassello, che la scarica contro il castello.
Per aprire l’otturatore, si arretra la manetta di armamento: questo fa sì che il blocchetto con il quale è solidale arretri di 10-12 mm circa, armando il percussore e sollevando il tassello.
Continuando la trazione, si apre l’otturatore, che estrae la cartuccia dalla camera.
L’arma è sprovvista di espulsore: l’estrattore esercita una spinta laterale sul fondello, in modo da farlo strisciare contro la parte sinistra del castello.
Non appena tutto il bossolo è stato estratto, l’attrito laterale fa sì che quest’ultimo ruoti su se stesso, cadendo fuori dall’arma. Il sistema è perfettamente funzionale finché si utilizzano munizioni a polvere nera: con le pressioni generate dalla polvere infume, risultano evidenti i limiti di un bloccaggio affidato a un solo tassello che, per di più, essendo notevolmente lontano dalla testa dell’otturatore, consente a quest’ultimo movimenti di pressoflessione non trascurabili.
Il bossolo, in conseguenza di ciò, vibra e arretra leggermente sotto sparo, con il rischio di incollarsi in canna o di rompersi.
Questi problemi si palesarono in tutta la loro evidenza con l’adozione della cartuccia da 8 mm modello 90.
Il serbatoio è di identico funzionamento per entrambe le armi: quello del Mannlicher 86 è solo appena più sporgente, dato il maggior diametro delle munizioni di 11 mm. Si tratta di uno scatolato di lamiera che forma un corpo unico con il ponticello del grilletto, fissato al castello da due lunghe viti poste alle estremità. All’interno si trova un elevatore di forma complessa, che ha il compito di spingere verso l’alto le cartucce.
È composto da un braccio rotante, sul quale è incernierata una soletta, mantenuta in assetto orizzontale da una apposita molla a lamina.
La piastrina caricatore, della capacità di cinque colpi per entrambi i modelli (ma di dimensioni leggermente maggiori per il modello 1886) è trattenuta in sede da una leva con un dente superiore e un pulsante inferiore. Quest’ultimo sporge da un’apposita feritoia nella parte posteriore del serbatoio, appena oltre il ponticello. Premendo il pulsante, il dente arretra liberando la piastrina: l’elevatore, esercitando la spinta sulle cartucce, spinge il pacchetto-caricatore fuori dall’arma, a otturatore aperto. In tal modo, è possibile scaricare l’arma senza dover camerare tutte le cartucce.
La sicura è di fattura piuttosto semplice, e consiste in una levetta rotante posta all’estremità posteriore sinistra del castello. Una volta ruotata verso destra, a percussore armato, si interpone tra la coda di quest’ultimo e l’otturatore. In tal modo, risulta impossibile lo sgancio del percussore anche in seguito a cadute di rilevante entità e, parimenti, è impedito l’arretramento dell’otturatore.
Dopo aver verificato che l’arma è scarica, si arretra l’otturatore tirando verso sinistra, nel contempo, la leva posta sul lato sinistro del castello. Questo consente di liberare l’otturatore, che può essere estratto posteriormente dall’arma.
Per rimuovere l’estrattore, è sufficiente fare leva con un cacciavite sulla sua estremità posteriore: la lamina si sgancia dal suo incastro e cade a terra.
A questo punto, si può svitare agevolmente la testa dell’otturatore. Fatto questo, si inserisce nella cavità che conteneva la testa un cacciavite, spingendo indietro la testa del percussore. Questo fa sì che l’estremità posteriore fuoriesca dal blocchetto della manetta di armamento. A quel punto, si svita il dente di armamento del percussore e si rilascia lentamente il cacciavite, facendo uscire il percussore e la sua molla.
Per separare il blocchetto della manetta di armamento dal corpo dell’otturatore, basta tirare la manetta indietro. Le armi non sono provviste di astina copricanna. I fornimenti sono composti dal calciolo in ferro, dalle fascette e dal bocchino.
La fascetta centrale incorpora la maglietta anteriore per la cinghia e, sul lato destro, uno zoccolo sul quale è riportato un piccolo cono aguzzo.
Il bocchino, invece, supporta l’attacco per la baionetta (sul lato sinistro) e un corto tubetto, che serve per formare il fascio d’armi.
Gli organi di mira sono particolarmente raffinati: l’alzo è costituito da una lamina alla quale sono fissati due fermi, che si incastrano entro altrettante tacche ricavate ai due lati del basamento.
L’ aletta a sinistra dello zoccolo porta i riferimenti da 300 a 1.500 passi (il passo è una antica unità di misura, corrispondente a 0,75 metri) nel modello 1886, da 500 a 1.700 passi per il modello 1888. L’aletta destra, invece, riporta rispettivamente i riferimenti da 1.600 a 2.300 passi e da 1.800 a 2.500 passi. Per tirare fino alla distanza massima indicata dai riferimenti sull’ aletta sinistra, si utilizzano la tacca di mira a “V” posta al centro della foglietta e il mirino a lama posto in volata. Se, invece, si intende sparare alle distanze superiori indicate dai riferimenti posti sull’aletta destra, si utilizza come mirino il piccolo cono posto a destra della fascetta mediana.
Una seconda tacca di mira è riportata al centro di una lamina scorrevole posta sotto la foglietta principale, che viene fatta uscire verso destra. Il motivo di questa complicazione è dato dal fatto che, essendo le munizioni caratterizzate da una traiettoria molto curva, per le distanze maggiori l’inclinazione dell’arma è tale che risulta impossibile acquisire il mirino convenzionale.
La struttura meccanica, relativamente fragile, segnò fin dalla nascita il destino di queste affascinanti e ben rifinite armi. Il tipo di chiusura non si dimostrava idoneo a sopportare le pressioni della polvere infume, così nel 1895 fu adottato un nuovo tipo di fucile con un otturatore sempre a trazione rettilinea, ma dotato di una più robusta chiusura a testina rotante con due alette frontali.
L’unico sprazzo di gloria gli Steyr Mannlicher lo ebbero nel 1891, quando il dittatore cileno Balmaceda ordinò 3.500 fucili modello 1888/90, che furono però intercettati dalle forze del Congresso a lui ostili e utilizzate contro le sue truppe, nella determinante battaglia di Concon.
Noi, a dire la verità, abbiamo visto anche alcuni Mannlicher 1888 con il crest cileno impresso sul calcio, quindi possiamo ipotizzare che nella spedizione fossero anche comprese tali armi. Una parte dei fucili modello 1886, invece, sembra essere stata inviata in Ecuador, come testimoniato da un curioso crest rinvenuto su alcune calciature: uno scudo che comprende le lettere “M del E” (Milizia del Ecuador?).
La prima guerra mondiale vide i nostri Mannlicher interpreti di un ruolo marginale, in attesa di un lungo oblio (come preda bellica) nei depositi degli eserciti di mezza Europa.
L'articolo completo è stato pubblicato su Armi e Tiro – febbraio 2002
Costruttore: Osterreichische Waffenfabrik gesellschaft, Steyr, AustriaModello: 1886 (1888)
Tipo: carabina a canna rigata
Calibro: 11x58R (8x50R)
Meccanica: ripetizione semplice con otturatore scorrevole e bloccaggio a tassello inferiore
Alimentazione: caricatore a pacchetto tipo Mannlicher
Numero colpi: 5
Scatto: diretto
Percussione: percussore lanciato
Estrattore: a gancio
Espulsore: assente
Sicura: a ghigliottina, sul castello
Lunghezza canna: 805 mm (765 mm)
Lunghezza totale: 1.320 mm (1.280 mm)
Peso: 4.520 grammi (4.400 grammi)
Materiali: acciaio