Ormai da molti anni, in particolare (ma non solo) con le moderne pistole semiautomatiche polimeriche con scatto a percussore lanciato (striker fired), i produttori (Glock in testa) si sono praticamente tutti omologati su un singolo sistema di chiusura geometrico per le armi in tutti i “grossi” calibri, dal 9×19 in su, ma anche e sempre più spesso per armi che un tempo avevano una chiusura a massa semplice, come quelle in 9 corto. Questo sistema di chiusura è definito “Browning modificato”. Ma perché lo hanno adottato praticamente tutti? Quali sono i suoi vantaggi?
Come funziona
Partiamo dal principio, cioè cosa sia e come funzioni il sistema Browning modificato delle moderne pistole semiautomatiche. Nelle pistole di medio e grosso calibro, si ricorre spesso a una chiusura geometrica anziché contare sulla sola inerzia del carrello e della molla di recupero, per tenere chiusa la culatta della canna fintanto che il proiettile non sia uscito dalla volata. Ciò consente al bossolo di scollarsi dalla camera di scoppio e di essere estratto ed espulso senza che il fondello si strappi oppure manifesti pericolosi rigonfiamenti o scoppi. Rispetto a una chiusura a massa, una chiusura geometrica consente di avere un carrello più leggero e una molla di recupero meno dura, a vantaggio della facilità di armamento.
Con “chiusura geometrica” si intende un sistema tale per cui canna e carrello risultano meccanicamente vincolati per un certo tempo, sufficiente appunto a far sì che il proiettile lasci la canna. Nelle moderne semiauto, il vincolo tra la canna e il carrello è determinato dal bordo superiore anteriore squadrato della camera di scoppio, che contrasta con il bordo anteriore, anch’esso squadrato, della finestra di espulsione. Quando il colpo parte, quindi, canna e carrello sono costretti ad arretrare uniti, per un breve tratto, trascorso il quale la culatta della canna viene obbligata ad abbassarsi (ecco perché si parla di “canna oscillante”), grazie all’interazione tra un piano inclinato solidale alla parte inferiore della camera di scoppio e uno zoccolo integrato nel fusto. L’abbassamento comporta che il bordo superiore della camera sfugga dall’appoggio contro la finestra di espulsione, finché i due elementi risultano disgiunti. A quel punto la canna si ferma e il carrello prosegue da solo la propria corsa, estraendo ed espellendo il bossolo.
Perché?
Ma perché tutti i produttori oggi utilizzano come vincolo tra canna e carrello il contrasto tra camera e finestra di espulsione, anziché per esempio, come sulle Colt 1911, i due risalti semilunari sulla canna che si inseriscono entro corrispondenti sedi nel cielo del carrello? La motivazione è semplice, ma anche duplice: perché si tratta da un lato del sistema più semplice da realizzare industrialmente, riducendo al minimo le lavorazioni a carico del carrello e della canna, in secondo luogo è anche il più robusto e durevole nel tempo, visto che risulta pressoché esente da fenomeni di usura tali da comprometterne l’operatività, a prescindere dal numero di colpi sparati. Inoltre questo sistema presenta un vantaggio accessorio, rappresentato dal fatto che con questo sistema di chiusura la finestra di espulsione risulta ampia e sviluppata anche sul lato superiore del carrello, non solo lateralmente, a vantaggio della massima affidabilità di espulsione.
Lo stesso discorso vale anche per il sistema di abbassamento della canna tramite rampa: anche in questo caso è un sistema rapido da produrre ma anche molto robusto e resistente, rispetto per esempio alla “bielletta” della Colt 1911 o all’asola sotto la canna della Cz75.
Chi fu il primo?
Il sistema di abbassamento della canna tramite rampa è stato utilizzato per primo nella pistola Browning Hp35, uno degli ultimi progetti sviluppati da John Moses Browning prima della sua morte, completato e perfezionato dal belga Dieudonné Saive. Il vincolo tra canna e carrello tramite contrasto tra camera e finestra di espulsione è stato invece applicato per la prima volta nella Sig Sauer P220 (foto sotto), realizzata nella prima metà degli anni Settanta: un’arma rivoluzionaria sotto molti punti di vista, tra i quali anche per la mancanza di sicure manuali (è dotata infatti di solo abbatticane), altra caratteristica che contraddistingue l’attuale produzione di polimeriche striker.