I nostri detrattori ne inventano a profusione. Ne sa qualcosa ancora una volta il Movimento 5 stelle, che non smentisce mai la sua vera natura animalista esente da qualunque analisi tecnica. Nel mese di marzo si è svolta nella sala stampa della Camera dei deputati la presentazione della prima proposta per vietare l’importazione dei trofei di caccia provenienti da Paesi esteri, in particolar modo da quelli africani. I due ideatori della proposta di legge sono Vittorio Ferraresi e Francesca Flati, supportati da una non meglio identificata associazione, tale Humane society international. I due parlamentari, supportati dai presunti dati prodotti da Hsi, hanno cercato di esplorare le menti dei cacciatori, senza nessun dato scientifico, nessun richiamo a rapporti ufficiali, ma solo alle chiacchiere di Hsi e soprattutto all’enfatizzazione del lato emotivo-animalista della questione. Sono presentati da Hsi i numeri dei trofei importati specialmente dall’Africa di specie che, almeno secondo loro, sarebbero a rischio estinzione. Non c’è nessuna nazione al mondo, tuttavia, che autorizzi la caccia di animali ritenuti a rischio estinzione e men che mai che ne autorizzi l’esportazione dei trofei. Chiunque abbia affrontato la procedura necessaria per l’importazione di un trofeo sa benissimo che per un animale contemplato nelle appendici Cites sono necessari permessi del Paese di destinazione, di quello di partenza e permessi doganali. Tutti gli animali al mondo, tuttavia, sono contemplati dalle normative Cites, ma ciò non è sufficiente per ritenerli a rischio di estinzione, ma vengono inseriti nei vari allegati I, II, III o nelle appendici, con cui vengono identificati a seconda del grado di pericolo che presentano.
Discutibile, poi, l’idea secondo la quale un animale da trofeo renderebbe di più se fosse soltanto oggetto di turismo fotografico e non di caccia. Chi afferma ciò evidentemente non conosce la natura del fenomeno, poiché è stato ampiamente dimostrato che la caccia rappresenta una fonte economica ben più significativa dei safari fotografici, a fronte di un minor impatto ambientale e di un disturbo inferiore arrecato alla fauna. Il turismo fotografico, fatto di scorribande di pulmini per accaparrarsi la scena migliore, non paga nemmeno la ventesima parte di quello venatorio. La caccia si spinge in territori remoti e coinvolge con tasse di abbattimento, addetti ai campi e personale per i tanti lavori di un safari, popolazioni che non avrebbero altro. Anche la carne viene sempre donata agli abitanti dei villaggi locali, a volte anche per risarcirli dei danni loro arrecati dalla fauna selvatica.
Le pene previste da tale proposta di legge per chi dovesse importare trofei di animali sono paragonabili a quelle previste per il narcotraffico: arresto fino a 3 anni, multa fino a 200.000 euro, con aumento a 300.000 se in recidiva, e trofei distrutti, soltanto l’ennesimo tentativo di colpire trasversalmente l’attività venatoria.