La vicenda ha dell’incredibile: a San Polo, alle porte di Arezzo, una situazione di conflittualità abitativa è sfociata in un vero e proprio atto di follia da parte del vicino abitante al piano inferiore di una casa bifamiliare, che dopo essersi accanito contro le autovetture ha cominciato a demolire nientemeno che a colpi di ruspa il piano superiore dell’abitazione, dove in quel momento si trovava l’odiato vicino con la sua famiglia. Per questo il 53enne Sandro Mugnai ha impugnato la carabina da caccia e ha sparato dalla finestra, uccidendo l’aggressore, l’albanese Gezim Dodoli, di 58 anni.
L’accaduto fa inevitabilmente tornare alla ribalta il tema della legittima difesa, tra coloro i quali hanno rispolverato l’eterno mantra del “bisognava aspettare le forze dell’ordine” e chi osserva, invece, come la reazione armata non fosse dilazionabile, in quanto la ruspa stava mettendo in pericolo concreto e immediato la sopravvivenza di tutta la famiglia di Mugnai (l’abitazione, peraltro, è stata poi dichiarata inagibile dai vigili del fuoco). La famiglia Mugnai, peraltro, a quanto pare (secondo le ricostruzioni al momento pubblicate sulla stampa locale) si trovava nell’impossibilità di uscire dall’abitazione sotto assedio per mettersi in salvo, in quanto il ruspista aveva danneggiato la porta di accesso, la finestra dalla quale Mugnai gli aveva gridato di fermarsi e si stava accanendo contro il tetto e il solaio.
Per Mario Esposito, costituzionalista dell’Università del Salento, intervistato ieri dal quotidiano La verità, quanto accaduto rappresenta un “caso da manuale” di sussistenza della scriminante della legittima difesa: “Cosa avrebbe dovuto fare l’aggredito per fermare l’aggressore? Ha eliminato il rischio per la sua vita, per i suoi congiunti e per i suoi beni, evitando danni ulteriori a terzi che potessero essere nelle vicinanze. In questo caso fatico a capire come non si possa trattare di legittima difesa”, ha commentato il professore, che prosegue: “Se minacciano me e i miei beni con un mezzo di irresistibile forza, uso appunto questi termini perché sono tecnicamente rilevanti nel diritto penale, e non ho tempo di chiamare le forze dell’ordine perché il pericolo è imminente, cosa posso fare per evitare il peggio?”.
Mugnai tuttavia, ed è probabilmente questo il tema di riflessione non tanto per i giudici quanto per la politica, ammettendo che abbia agito nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 52 del codice penale, è stato comunque tratto in arresto e condotto in carcere, con l’accusa di omicidio volontario. È chiaro che nel momento in cui i magistrati riterranno non sussistere i rischi di fuga, inquinamento delle prove o reiterazione del reato, in attesa del verdetto definitivo non sarà necessaria la carcerazione preventiva e il Mugnai potrà, quindi, essere rilasciato. Ma intanto, una persona “colpevole” (se questo sarà appurato) unicamente di aver difeso la vita e l’incolumità propria e dei propri cari, sta conoscendo il carcere da incensurato e, anche, da innocente. Giunge opportuna a questo punto l’amara riflessione del professor Esposito: “Mi chiedo a questo punto: uccidere l’aggressore non diventa mai legittimo? Si dica allora con chiarezza che la legittima difesa non comprende la morte dell’aggressore, così si sa che davanti a una minaccia con un mezzo di irresistibile forza, davanti al quale non si può scappare né reagire, si è destinati a morire”.
La normativa sulla legittima difesa, modificata una prima volta nel 2006 e nuovamente nel 2019, sembra ancora una volta dimostrare i propri limiti nel tutelare concretamente le persone che già sono state aggredite una prima volta e vengono aggredite nuovamente, questa volta non da una ruspa ma dagli “atti dovuti” del nostro ordinamento giudiziario. Né d’altro canto è facile trovare una soluzione che consenta di mediare efficacemente la posizione del cittadino rispetto alle esigenze di tutela della collettività e di accertamento dei fatti, senza il quale accertamento, non è neanche possibile capire se chi abbia sparato fosse nel giusto o abbia invece commesso un abuso. Occorre una riflessione, se effettivamente sarà possibile mettere mano a una riforma della giustizia, anche sul complesso e difficile tema della legittima difesa, possibilmente senza pregiudizi di tipo politico.