È indagato per omicidio preterintenzionale il carabiniere che a Pilcante di Ala (Tn) ha sparato a una gamba dell’uomo che ha aggredito lui e il collega con un’accetta. La ferita si è, tuttavia, rivelata poi mortale. La vittima, 44 anni, aveva forzato un posto di controllo poco prima, dandosi alla fuga: giunti alla sua abitazione per un controllo, i carabinieri sono stati aggrediti.
“Quanti altri morti e processi per atto dovuto, prima di dotare di Taser le forze dell’ordine?” ha commentato Fabio Conestà, segretario generale del sindacato di polizia Mosap (Movimento sindacale autonomo di polizia), “perché dobbiamo puntualmente leggere di tragedie che potevano tranquillamente essere evitate? Ancora una volta ci ritroviamo a piangere sul sangue versato e un collega subirà conseguenze solo per aver difeso se stesso e chi era con lui. Con il Taser l’uomo sarebbe stato immobilizzato senza tragiche conseguenze e ancora prima che potesse fare del male ai militari”.
È un danno per tutti
Il popolo del Web in maggioranza liquida semplicisticamente la questione affermando che l’aggressore poi deceduto “se l’è cercata”. Il che può senz’altro essere vero, ma ciò non toglie che ora un appartenente alle forze dell’ordine, che è stato costretto a utilizzare l’unico (in pratica) strumento di autodifesa a propria disposizione, dotato però di effetti letali, dovrà sostenere un procedimento penale che, anche nel caso in cui venga poi disposta l’archiviazione, durerà verosimilmente un paio di anni. Se, invece, il procedimento dovesse tradursi in un processo e si dovesse andare fino in Cassazione, gli anni è verosimile che diventino dieci. Nel corso dei quali dovrà provvedere alla propria difesa con un avvocato, probabilmente dovrà nominare anche consulenti tecnici di parte per presentare le proprie osservazioni verso le perizie richieste dai magistrati, e così via. In molte di queste situazioni, l’uso del Taser potrebbe risolvere il problema in modo non letale, il che oltre a evitare la tragedia di una perdita di una vita umana, va anche a tutela dell’operatore delle forze dell’ordine, che non deve poi affrontare un vero e proprio calvario. Questo, sì, sarebbe un “atto dovuto” nei confronti degli operatori che ogni giorno lavorano per la tutela della collettività: fornirli degli strumenti idonei per lavorare in sicurezza e per consentire loro di modulare opportunamente la risposta nei confronti delle minacce che quotidianamente si trovano a fronteggiare.