Nemmeno la Cina è immune dal fenomeno dello stabbing. Già ad aprile, nel Sud del Paese, un uomo si era introdotto in un asilo armato di coltello, uccidendo due bambini e ferendone altri 16.
Ieri ad Anqing, città poco distante dall’ormai nota Wuhan, un 25enne ha aggredito i passanti a coltellate, uccidendo 6 persone e ferendone altre 14, in quello che sembra a tutti gli effetti essere un vero e proprio spree killing. Si tratta di una tipologia particolare di mass killing, conosciuta in criminologia per l’uccisione di soggetti nei quali il killer di solito si imbatte in modo casuale e che aggredisce in una rapida escalation, a differenza dei casi di uccisioni, sempre multiple, ma nei quali si rinvengono radici di natura in qualche modo vendicativa.
Inizialmente le autorità hanno mantenuto il massimo riserbo sull’episodio e non si sono sbilanciate circa le cause, circostanza già di per sé normale ma che, trattandosi di un regime che gestisce l’informazione a proprio piacimento come quello cinese, stupisce ancor meno. Solo stamattina sono filtrate le prime indiscrezioni secondo le quali il folle gesto sarebbe stato motivato da “rabbia nei confronti della società” che l’autore avrebbe maturato a causa di “pessimismo sulla vita in seguito a problemi famigliari”.
Tra l’altro, non stupisce nemmeno che fatti come questo possano avvenire anche in un Paese nel quale solo il 2,86% dei cittadini possiede un’arma da fuoco (dato del 2019) e in cui la severità delle pene è degna di un regime totalitario.
Le ragioni sono semplicissime e fondamentalmente due: da un lato non serve un’arma da fuoco per commettere una strage; dall’altro, quando sono le armi da fuoco a uccidere, difficilmente si tratta di armi legittimamente detenute.
Ancora una volta ė, infatti, proprio il coltello lo strumento che presenta la maggior facilità e il minor costo di reperimento, oltre a una impressionante capacità offensiva anche in mani impreparate e imperite nel suo impiego. Per questo resta l’assoluto protagonista di aggressioni mortali della più svariata natura, dal terrorismo di matrice jihadista fino alla criminalità comune e alle violenze domestiche.
Non a caso, parlando di tutt’altro fenomeno criminale, solo negli ultimi giorni di maggio nel nostro Paese sono state ben 2 le donne uccise a coltellate nei più brutali tra i femminicidi.
Ancora una volta, dunque, è doveroso riflettere sull’enorme differenza esistente tra l’esiguo numero di violenze e crimini commessi con armi da fuoco legalmente detenute, a testimonianza di un mondo attentamente disciplinato, e l’enorme casistica di aggressioni e crimini compiuti con strumenti reperibili ovunque, nei confronti dei quali ancora oggi troppo basse sono l’attenzione e la prevenzione.
Non è un segreto, infatti, che anche le stesse forze di polizia ormai già da tempo stiano valutando come sia più probabile e frequente il rischio di subire aggressioni mortali con strumenti da punta e da taglio che essere bersaglio di colpi di arma da fuoco, ipotesi altrettanto mortale ma assolutamente più rara. Ne discendono valutazioni d’obbligo anche in ordine alle dotazioni degli operatori di polizia, che sempre più spesso vestono equipaggiamenti anti-taglio in aggiunta o a volte addirittura al posto delle protezioni balistiche. Tutto questo con buona pace dei disarmisti…