La prima bozza di recepimento della direttiva del 2017 è stata resa pubblica dopo che il consiglio dei ministri l'ha già approvata! Il ministero perde il pelo ma non il vizio…
Lo schema di recepimento della direttiva è stato presentato agli sgoccioli della vigenza in carica del consiglio dei ministri presieduto da Paolo Gentiloni. In termini istituzionali è un atto che si può definire gravemente scorretto, come minimo. E il consiglio dei ministri l'ha approvato oggi stesso. Nello schema medesimo si fa riferimento a una entrata in vigore il 14 settembre 2018. Per leggere il testo integrale, CLICCA SULL'ALLEGATO.
L’Anpam si era detta sicura che il recepimento della direttiva europea 2017/853 sarebbe stato “soft”. E possiamo dire che avesse, in certa misura, ragione. Perché è evidente che sarebbe potuto essere molto, ma molto peggio. Ciò detto, occorre comunque evidenziare che su alcune questioni il ministero ha ribadito, casomai ce ne fosse bisogno, che alcuni “temi” non si toccano, punto e basta. A partire dai caricatori “maggiorati” e dalle armi semiautomatiche somiglianti alle armi automatiche, che prima erano in categoria B7 e adesso sono in categoria B9: continuano a essere proibite per la caccia e, quindi, continuano a dover essere denunciate come armi comuni o sportive. Ecco, comunque, i punti più significativi della bozza:
Il ministero ribadisce, in più punti, di essere sempre uguale a se stesso su determinati temi e di fregarsene altamente di tutto il resto del mondo. Il caso emblematico è quello dei caricatori “maggiorati”: la direttiva europea ritiene che il discrimine per una legislazione più rigorosa sia di 20 colpi per le armi corte e 10 per le armi lunghe, mentre il ministero stabilisce che il limite di colpi che obbliga a essere “sportivi” è sempre quello previsto dall’articolo 2 della legge 110/75, quindi di 15 colpi per le armi corte e 5 per le armi lunghe. Il secondo aspetto sul quale si sarebbe potuta scommettere qualsiasi cifra è che il ministero conferma l’inutilizzabilità a caccia delle armi semiautomatiche somiglianti a quelle automatiche, preoccupandosi di chiarire che il limite che prima riguardava le B7, adesso riguarda le B9. Anche sulla facoltà da parte di questori e prefetti di introdurre un limite massimo di cartucce acquistabili nell’arco di validità del porto d’armi, vecchio cavallo di battaglia del ministero, non si può fare a meno di criticare il metodo utilizzato per “infilare” una siffatta limitazione nello schema di recepimento della direttiva, malgrado non avesse nulla a che fare con essa: tra l’altro, in questo caso l’unica deroga prevista al limite è quella relativa all’acquisto di munizioni presso i Tsn, quindi c’è il rischio che possano rientrare nel limite le munizioni a pallini per fucile da caccia, che finora erano escluse (ma diventa anche difficile verificare gli acquisti, visto che non c’è obbligo di registrazione). Ancora una volta, poi, il potere conferito all’autorità locale di ps è sempre improntato alla fatidica e borbonica discrezionalità.
Il porto di fucile per caccia e Tiro a volo viene portato a una validità di 5 anni e anche per i meri detentori di armi (che hanno, quindi, armi in denuncia ma non hanno più un porto d’armi in corso di validità) il termine entro il quale produrre un certificato medico periodico è di 5 anni e non più 6. Una apposita norma transitoria stabilisce che la nuova durata di 5 anni sarà in vigore per le licenze rilasciate dalla data di entrata in vigore del decreto. Quindi, i porti d’arma già rilasciati continuano a essere validi fino alla naturale scadenza. Nel documento si precisa anche che, in attesa dell’emanazione del decreto sui requisiti psicofisici previsto dal decreto 204 del 2010, i meri detentori di armi possono presentare un certificato medico rilasciato dal settore medico legale delle Asl, da un medico militare, della polizia o dei vigili del fuoco dal quale risulti l’assenza di malattie mentali o vizi che ne diminuiscono, anche temporaneamente, la capacità di intendere e di volere. Un particolare paradosso si verifica con le armi bianche: ovviamente per il ministero continuano a essere “armi” (siamo gli unici in Europa, facciamo ridere i polli…), per l’acquisto continua a essere necessaria una licenza (porto d’armi o nulla osta), bontà loro almeno i collezionisti di sole armi bianche non dovranno presentare ogni cinque anni il certificato medico.
Uno dei punti più preoccupanti della direttiva era relativo alla custodia delle armi: la soluzione trovata nella bozza del decreto è quella di mantenere comunque alla discrezionalità delle questure la facoltà di imporre adeguate misure di custodia, anche comprendenti sistemi di sicurezza elettronici o di difesa passiva, “in relazione alle caratteristiche del luogo di detenzione, nonché alla tipologia e al numero delle armi e munizioni detenute”. Questo, se da un lato può portare alla solita disomogeneità di trattamento di casi simili, dall’altro rappresenta forse l’unico aspetto positivo di tutta questa faccenda: almeno si evita che si dispongano, magari con un decreto ministeriale, adempimenti draconiani validi per tutti e palesemente eccessivi, che sarebbero a dir poco onerosi per non dire devastanti.
Un altro aspetto critico era quello relativo alla necessità di dimostrare di essere “sportivi” per poter detenere armi di categoria A6 (demilitarizzate) e A7 (armi con caricatori di capacità superiore a 20 colpi per le pistole e 10 per le carabine). Le disposizioni transitorie del decreto prevedono che la detenzione sarà consentita “ai soli tiratori sportivi iscritti a federazioni sportive di tiro riconosciute dal Coni”. Questa è senz’altro una cosa positiva nel senso che è previsto solo l’obbligo di essere iscritti e non l’obbligo di frequentare con cadenze specifiche il campo di tiro o, peggio, l’obbligo (che sarebbe, tuttavia, in odore di incostituzionalità) di partecipare a gare. È prevista una apposita clausola di salvaguardia per chi detiente queste armi da prima dell’entrata in vigore.
Nella bozza ci sono alcune precisazioni importanti in merito alla natura giuridica di alcune tipologie di armi: le “armi camuffate” da altri oggetti, per esempio, vengono equiparate alle armi tipo guerra, mentre invece le armi di categoria A6, A7 e A8 vengono comunque equiparate alle armi comuni da sparo per quanto riguarda il profilo penale, evitando quindi le sanzioni più gravi previste nel caso delle altre armi di categoria A (cioè quelle da guerra).
Tra le materie inserite nello schema c’è l’esplicita esclusione dalla direttiva per le armi monocolpo ad avancarica che, quindi, continueranno a restare di libera vendita. Non c’è, viceversa, una riga che sia una per quanto riguarda la disciplina delle armi disattivate, che in base alla direttiva europea rientrano nella categoria “C” (armi soggette a dichiarazione). Questo può portare a una conseguenza paradossale, cioè quella di dover presentare un porto d’armi per acquistare un’arma che non è più un’arma e dover denunciare un’arma disattivata esattamente come se fosse funzionante. Questo può evidentemente rappresentare la fine del settore delle armi disattivate (almeno quelle non da guerra, che funzionanti non possono essere detenute) con ricadute disastrose per gli operatori del settore. Da un punto di vista giuridico, inoltre, si arriva al paradosso assurdo secondo cui i detentori di armi disattivate anni fa non devono sottostare ad alcun adempimento (finché non le vendono o trasferiscono in un altro Stato), mentre chi vuole acquistare un’arma disattivata secondo i criteri del regolamento europeo del 2016, deve sottostare alle medesime regole delle armi funzionanti. Come è possibile?
La disamina completa del provvedimento la trovate su Armi e Tiro di giugno 2018.