Con sentenza n. 00044 pubblicata il 31 gennaio 2022 il Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria ha accolto il ricorso da parte di un cittadino, che si è visto irrogare un divieto di detenzione armi ex articolo 39 Tulps da parte della prefettura di Perugia e revoca del porto d’armi da parte della questura, perché nella stessa casa convive anche il figlio, agli arresti domiciliari per un’accusa di stalking nei confronti della convivente. A nulla era valso il fatto, riferito peraltro dagli stessi carabinieri, che a seguito della misura restrittiva nei confronti del figlio, i genitori si fossero trasferiti in un appartamento autonomo e con ingresso indipendente posto al piano superiore dello stesso stabili e che le armi fossero custodite nella soffitta al terzo piano, dotato di porta blindata e inaccessibile al figlio. Peraltro, a riguardo dell’accusa nei confronti del figlio, era poi intervenuta remissione della querela da parte della persona offesa dal reato e, in seguito a risarcimento del danno era stato disposto il non luogo a procedere.
Nel dispositivo della sentenza i giudici, se da un lato hanno osservato che “la remissione della querela da parte della parte offesa (evento peraltro frequente nei casi di conflittualità fra persone legate da rapporto di coniugio o di parentela) non risulta ex se idonea ad eliminare, sul piano storico e fattuale, i comportamenti e le circostanze che l’Amministrazione aveva ritenuto rilevanti ai fini del giudizio di inaffidabilità in ordine alla condotta di vita e all’assenza di pericolo di abuso da parte del congiunto dell’odierno ricorrente”, d’altro canto hanno comunque accolto il ricorso sul motivo principale di doglianza, osservando che “il Prefetto… nel prendere atto delle precauzioni adottate dal sig. -OMISSIS- e nel ritenere di non poter escludere in assoluto che il figlio -OMISSIS- possa entrare in possesso ed abusare delle armi del padre, omette di fornire qualsiasi motivazione per giustificare la ritenuta insufficienza delle suddette cautele (il trasferimento delle armi nel vano soffitta chiuso con porta blindata ed inaccessibile al giovane) per scongiurare il rischio dell’accesso alle armi. È ben vero che, in linea di principio, non si può escludere la legittimità di un giudizio discrezionale all’esito del quale si affermi che un simile trasferimento sia, in effetti, irrilevante: ciò, ad esempio, ove risulti che si tratti di trasferimento puramente fittizio e/o che le modalità di custodia delle armi siano inadeguate ed inefficaci. Tuttavia, per giungere a tale risultato il provvedimento dovrebbe risultare adeguatamente motivato, e basato su un’apposita istruttoria (cfr. TAR Umbria, 29 aprile 2009, n. 196). Nel caso in esame, la motivazione è puramente apodittica e, d’altra parte, non consta che l’Autorità di pubblica sicurezza abbia svolto alcuna istruttoria per verificare l’inadeguatezza delle modalità di custodia delle armi ovvero la presenza di altre ragioni tali da non potersi escludere la possibilità per il giovane di entrare in possesso delle armi del padre”.