Il noto giornalista paventa “interventi” dell’eventuale governo giallorosso sulla legittima difesa. Senza risparmiare la consueta dose di luoghi comuni sui legali detentori di armi
Filippo Facci, noto giornalista spesso non allineato e dai toni graffianti, in un articolo pubblicato su Libero paventa un intervento modificativo o addirittura abrogativo dell’eventuale nuovo esecutivo giallo-rosso, sul pacchetto di misure di riforma della normativa sulla legittima difesa approvate dalla Lega e M5S pochi mesi fa. In effetti l’ipotesi è tutt’altro che peregrina, visto che fu lo stesso segretario Pd Nicola Zingaretti a far balenare inizialmente l’ipotesi che una partecipazione del Partito democratico al nuovo esecutivo fosse subordinata alla cancellazione delle iniziative “targate” Lega degli ultimi mesi, in primis i decreti sicurezza e, appunto, la legittima difesa.
“Sarebbe imbarazzante lasciarla intatta (il Pd ci fece un casino) e sarebbe imbarazzante eliminarla o modificarla”, spiega però Facci, “visti i dati e il gradimento che provengono dalle più svariate direzioni. In sintesi: da quando è in vigore la legge sono aumentate le richieste di porto d’arma, da quando è stata lanciata la campagna per la sicurezza i reati sono calati sensibilmente (omicidi, furti, rapine) e tuttavia il 46 per cento degli italiani resta impaurito, e ritiene la sicurezza il problema più importante subito dopo la mancanza di lavoro (fonti: Viminale, Censis e Noto sondaggi)”.
Da qui parte il consueto pistolotto farcito di luoghi comuni sulle armi: “A Roma, città simbolica che non è Brescia né il bresciano (zone in cui la predilezione per le armi è assodata) una prima conseguenza della legge è stato un aumento delle richieste di porto d’arma per uso sportivo: un escamotage che permette di tenere l’arma regolarmente in casa oppure in ufficio o nel proprio esercizio commerciale, a seconda”.
A ridaje, si direbbe a Roma, per quanto si possa essere indipendenti e non allineati nel proprio pensiero, in materia di armi bisogna necessariamente andare a cascare sui luoghi comuni propalati dall’informazione “mainstream”. E ancora una volta, tocca ribadire, sottolineare, reiterare che il porto d’arma “per uso sportivo” non rappresenta in alcun modo un “escamotage”: per ottenerlo occorrono esattamente i medesimi requisiti previsti per il porto di fucile per uso caccia, salva ovviamente l’unica differenza che non è necessario sostenere un esame sul riconoscimento della fauna (chissà come mai…). Ora, sarebbe bello che uno qualsiasi di coloro i quali sostengono che il porto “sportivo” sia un “escamotage” ci spiegasse in che modo saper distinguere una quaglia da un tordo dovrebbe costituire un presidio di sicurezza sociale superiore.
Anche i dati snocciolati da Facci sono orientati all’immaginifico, ma la realtà è leggermente differente rispetto a quanto propalato: se, infatti, il collega annuncia che “ormai nella capitale la media è di un’arma (pistola o fucile) ogni 11 abitanti, scopriamo poche righe dopo che a fronte delle 424.867 armi denunciate a Roma e provincia, le persone “autorizzate alla detenzione” sono 304.687. E quindi, considerando che in tutta la provincia di Roma abitano 4 milioni e 354 mila persone, sta di fatto che c’è una persona armata ogni 14, non ogni 11! E vabbé.
In compenso Facci chiosa che “Capire a quale orientamento politico appartengano i detentori di armi resta complicato, perché la ricerca spiega che un 40 per cento si dichiara vicino al centrodestra, un 20 per cento vicino al centrosinistra ma ben il 40 per cento – un dato poco credibile – sostiene di non avere appartenenze politiche. E non sono tutti uomini: su 100 persone, le donne sono 35. La regione dove si registrano più permessi è il Veneto, dove, pure, si registrano meno delitti rispetto per esempio alla Calabria”.
Il che, in altre parole, significa che a fronte del millantato “escamotage”, a una maggior concentrazione di armi legalmente detenute, non corrisponde un maggior numero di omicidi o delitti commessi con esse. Il che, è quello che conta.