Freya era una femmina di tricheco che da parecchio tempo si era insediata in un fiordo nei pressi di Oslo, in Norvegia, dove peraltro era localizzato un porto turistico. Era in breve diventata una presenza fissa, pian piano aveva preso confidenza col luogo, con la gente, e soprattutto con le barche, sulle quali quasi tutto il giorno dormiva sonni saporiti mettendosi sulle poppe a filo d’acqua. Naturalmente la presenza dell’animale così disponibile e confidente ha scatenato orde di turisti che, per farsi fotografare vicino a lei (che non li curava più di tanto, facendosi anche accarezzare), l’hanno pian piano assediata giorno e notte, non consentendole più una vita da animale “normale”. La cosa è diventata ben presto una dipendenza per tutti i turisti, che facevano a gara per alimentare e sollecitare la tricheca onde farsi fare scatti d’autore continui.
A quanto si dice le autorità sono intervenute in quanto Freya, come tutti i trichechi, avrebbe avuto bisogno di una ventina di ore al giorno di riposo, o sonno addirittura, sulla 24 disponibili. Ben presto sempre le autorità hanno notato evidenti segni di nervosismo nell’animale, che non poteva più disporre di una vita normale. La tricheca (animale che può raggiungere anche i 600 kg di peso) è stata anche giudicata pericolosa per coloro che l’avvicinavano continuamente. Per cui, con solerzia degna di nota, hanno decretato l’abbattimento. Quello che si evidenzia in questa triste storia è l’abisso che divide i diversi modi di pensare nei confronti degli animali nei diversi Paesi. Si passa dall’immobilità assoluta dei nostri territori nei confronti di alcuni animali, rivelatasi troppo aggressivi verso diverse persone colpite, all’assoluta negazione di ogni tentativo di salvaguardia, al punto di non esitare a sopprimere un animale che francamente pensiamo sarebbe potuto essere gestito in molti altri modi. Cominciando, per esempio, a multare pesantemente chi l’avvicinava per foto. È stato fatto? Le autorità dicono di sì, noi abbiamo qualche dubbio sulla solerzia dell’iniziativa. Poteva essere spostato in cattività, vista ormai la sua tranquillità con gli umani? È stato dichiarato fosse impossibile. Si poteva prendere e spostare più a Nord, in qualche colonia della specie? Anche questo è stato giudicato troppo laborioso. “In fin dei conti ci sono problemi più importanti,” così è stato dichiarato da Per Espen Fjeld, biologo responsabile della fauna selvatica del posto. Alla fine la vera vittima è stata la povera tricheca, uccisa sì dalle autorità, ma uccisa ancor più giorno per giorno dall’animalismo stupido e social che qualunque cosa, anziché osservarla in silenzio da lontano e sopratutto da soli, la deve per forza mettere in video o in selfie da lanciare subito sul web, con chiassosa esuberanza. Cosa che poi ha decretato trasversalmente l’eccessiva notorietà di Freja e la sua conseguente fine.
Che serva da lezione agli animalisti nostrani, incitati dalle altrettante associazioni di grido. Che pretendono di far amare gli animali in maniera “social”. Se ne servono per fare a gara a chi li protegge meglio. Ma li trasformano in fenomeni da circo, pretendendo di educare le persone. Che vorrebbero vedere cervi, caprioli, orsi e simili, precipitarsi a farsi fare coccole e foto per un pezzo di panino. Vedi stambecchi del Gran Paradiso, per dirne una. Gli animali debbono conservare una sana diffidenza e paura dell’uomo. Per rimanere soprannaturali ed esaltanti figure, e mostrarsi solo ai più discreti e rispettosi della loro vita.