Un vero schiaffo in piena faccia ai poliziotti, la seconda circolare del capo della polizia in pochi giorni, questa volta dedicata all’equipaggiamento
Il capo della polizia, Franco Gabrielli, sembra aver preso gusto alle circolari destinate al personale in servizio nella polizia di Stato: dopo quella di pochi giorni fa nella quale invitava gli operatori alla massima moderazione nelle loro esternazioni sui social network, lo scorso 29 ottobre ne ha invece firmata una seconda (prot. 0034773), dedicata all’equipaggiamento e al vestiario, sempre per gli operatori della polizia. Novità in arrivo? Un significativo ammodernamento delle dotazioni? Nuovi elementi dell’equipaggiamento per mettere finalmente i nostri poliziotti al livello delle più moderne polizie europee? Macché!
Nella circolare ci si limita a sottolineare che il personale della polizia di Stato non si deve minimamente permettere di effettuare qualsivoglia aggiunta, modifica o variazione all’uniforme e al materiale di equipaggiamento, “allo scopo di contemperare la necessità di garantire la sicurezza degli operatori con l’esigenza di salvaguardare il decoro dell’istituzione”.
Allo scopo, vengono ricordati sia la legge n. 121 del 1981, la quale dispone che “il ministro dell’Interno con proprio decreto determina le caratteristiche delle divise degli appartenenti alla Polizia di Stato nonché i criteri generali concernenti l’obbligo e le modalità d’uso”, e il decreto ministeriale del 4 ottobre 2005, nel quale si sottolinea che l’articolo 5, comma 2, lettera a) vieta agli appartenenti alla Polizia di Stato di “indossare e portare sulla divisa capi di vestiario, accessori, materiale di equipaggiamento ed oggetti non forniti dall’amministrazione”.
La chiosa è che “il mancato rispetto della soprarichiamata prescrizione espone sia gli operatori a rischi per la propria incolumità personale sia, in caso di incidenti, l’amministrazione a contenziosi e, comunque, costituisce illecito disciplinare”.
Per questo motivo la circolare affida a questori e dirigenti vari “un’azione attenta e costante volta ad assicurare un rigoroso rispetto delle regole, censurando ogni arbitrio, irregolarità o trascuratezza e impartendo precise disposizioni ai dirigenti e ai responsabili degli uffici che dovranno vigilare e controllare affinché il personale dipendente si attenga scrupolosamente a quanto disposto”.
Abbiamo definito questa circolare uno “schiaffo” agli appartenenti alla polizia di Stato, e non è difficile comprendere il perché: da un lato, è certamente condivisibile che uno dei massimi dirigenti della polizia si preoccupi di non trasformare questa istituzione in una sorta di “armata Brancaleone” nella quale ciascun operatore si regola come vuole e come può, determinando una evidente difformità e varietà di equipaggiamento e di aspetto fisico delle uniformi rispetto ai colleghi; dall’altro lato, però… c’è la dura realtà del quotidiano, che probabilmente a Gabrielli sfugge o non gli è stata correttamente rappresentata.
Partiamo innanzi tutto da ciò che l’amministrazione fornisce agli agenti in servizio sul territorio: innanzi tutto, non è corretto affermare che le dotazioni e gli elementi di equipaggiamento siano tutti uguali, perché di norma determinati elementi dell’uniforme (da giacca e pantaloni al cinturone, alla fondina e così via) per determinati reparti vengono assegnati in funzione di specifici contratti con le imprese appaltate, contratti che possono variare anche in intervalli di tempo relativamente ristretti e che non hanno praticamente mai una ampiezza sufficiente da coprire tutto il complessivo degli organici in servizio. In altre parole: già oggi, nella polizia di Stato (tanto per fare un esempio) è possibile riscontrare in servizio almeno tre differenti modelli di fondina, tutti forniti dall’amministrazione, in base però a differenti contratti di fornitura, con caratteristiche anche macroscopicamente differenti (alcune fondine sono nere, altre bianche… più di così!).
Passando agli elementi più strettamente attinenti all’uniforme, occorre (purtroppo) ricordare e constatare che non sempre il fatto che il materiale sia stato fornito dall’amministrazione costituisce una garanzia di sicurezza per gli operatori e di decoro per l’istituzione: capita, più di talvolta, di constatare al contrario che determinati elementi del vestiario presentano una qualità non conforme alle esigenze del servizio e anche una durata operativa decisamente inferiore a quanto sarebbe lecito attendersi in circostanze normali. Alcuni esempi? Alcuni operatori hanno dovuto rivolgersi (di tasca loro, ovviamente) a sartorie private per far confezionare pantaloni con un tessuto idoneo a durare più di quello fornito dall’amministrazione (parlando di decoro, è meglio vedere i poliziotti con pantaloni di sartoria o con le “pezze al culo”? Mah…), altri sono costretti (ripetiamo: costretti) a sborsare del loro per riuscire ad avere in servizio calzature idonee a garantire un minimo di comfort, in particolare pensando alla termicità nei mesi invernali, ma non solo. Gli esempi potrebbero proseguire a lungo, ma conviene invece intrattenersi su un altro aspetto, decisamente più grave.
Al di là delle questioni su quanto l’amministrazione fornisce (e relativa qualità), un aspetto che non può essere taciuto è relativo a quanto l’amministrazione “non” fornisce, che sempre più operatori sono costretti ad acquistare di tasca propria, proprio per salvaguardare la propria sicurezza. Parliamo, anche qui solo per fare un esempio banale, dei guanti anti-taglio per il personale delle pattuglie, senza voler arrivare (non sia mai!) ai giubbetti antiproiettile o anti-taglio sottocamicia. In tal caso, non si capisce davvero come possa costituire un pericolo per la sicurezza degli operatori acquistare un paio di guanti anti-taglio di qualsivoglia marca o modello, rispetto alle nude mani…
Una applicazione rigorosa e pedissequa di questa circolare porterebbe a risultati decisamente grotteschi: oggi, sempre per fare esempi sciocchi, molti operatori provvedono in proprio all’acquisto di torce elettriche portatili, perché spesso quelle in dotazioni sulle volanti non funzionano; l’amministrazione non ha minimamente preso in considerazione (salvi servizi molto specialistici, come le macchine della stradale in servizio sulle autostrade) di dotare il personale di strumenti da taglio (anche un semplice multiuso svizzero, vivaddio…), eppure questi strumenti svolgono spesso una importanza fondamentale nei servizi di tutti i giorni (pensiamo, ma è ancora una volta un esempio banale, alla necessità di tagliare una cintura di sicurezza per liberare l’occupante di una macchina incidentata… o bisognerà farlo a morsi?).
Come si è detto all’inizio di questo articolo, è giusto che la polizia di Stato pensi a salvaguardare la propria immagine che passa, innanzi tutto, dall’uniformità delle divise (non per niente si chiamano “uniformi”…). L’ottusa e meccanica applicazione di normative che, in alcuni casi, appaiono ormai decisamente datate in rapporto al rapido aggiornamento delle minacce e delle esigenze che ogni giorno gli operatori della polizia devono fronteggiare, però, in combinazione con i tempi biblici richiesti dall’amministrazione per aggiornare le dotazioni, sono elementi che non possono passare in secondo piano: alla fine, il risultato pratico di queste “gride manzoniane” sarà da un lato quello di costringere gli operatori a depauperarsi di strumenti utili (e pagati di tasca propria, è sempre il caso di ricordarlo) per la propria sicurezza, per un servizio più efficiente e in definitiva per la sicurezza della cittadinanza; oppure, in alternativa, quello di esporre coloro i quali per coscienza di servizio integrano la propria dotazione con strumenti di maggior qualità o ulteriori rispetto a quelli d’ordinanza, a sanzioni disciplinari o ad altre magagne.
Invece di mettere i puntini sulle “i” di provvedimenti normativi non più al passo con i tempi, sarebbe forse più opportuno prevedere strutture a livello locale (regionale o, perché no, nell’ambito di una singola questura) che possano prevedere la possibilità di autorizzare al personale determinate dotazioni integrative, una volta riconosciuta tale necessità operativa: in un mondo perfetto si potrebbe anche ipotizzare un minimo di autonomia di spesa in capo a queste strutture, ma già sarebbe un grosso passo in avanti se fosse quantomeno consentito ufficialmente agli operatori di provvedere di tasca propria senza scandalizzarsi. Invece, purtroppo, ancora una volta non si può fare a meno di osservare quanto i “palazzi” siano lontani non solo dalla gente comune, ma anche dalla realtà del quotidiano.