È stato approvato pochi minuti fa, con i voti favorevoli di Lega e M5S, contrari di Pd, Leu e Forza Italia e l’astensione di Fratelli d’Italia, il parere della I commissione (affari costituzionali) alla Camera, con le raccomandazioni per il governo sul recepimento della direttiva 2017/853
È stato approvato pochi minuti fa, con i voti favorevoli di Lega e M5S, contrari di Pd, Leu e Forza Italia e l’astensione di Fratelli d’Italia, il parere della I commissione (affari costituzionali) alla Camera (relatore il leghista Gianluca Vinci, in foto), con le raccomandazioni per il governo sul recepimento della direttiva 2017/853.
Tra i contenuti del parere, ve ne sono alcuni sicuramente molto positivi in merito all’eliminazione di inutili aggravi burocratici e/o adempimenti vessatori sui possessori di armi: uno su tutti, quello indicato al punto “f” che suggerisce l’eliminazione in toto della previsione dell’avviso ai famigliari conviventi per il rilascio di un porto d’armi o di un nulla osta, con la motivazione che “tale disposizione, oltre a risultare assolutamente generica nelle forme e nei termini, darebbe adito alle più varie interpretazioni in una materia con molteplici profili di rilevanza penale che deve essere caratterizzata dalla certezza e non è inoltre in alcun modo contemplata nella direttiva”.
A nostro avviso positiva anche l’indicazione (non presente nella bozza di recepimento votata dal consiglio dei ministri lo scorso 11 maggio, ma presente nella direttiva) al punto “g” di introdurre una interconnessione tra le banche dati dei detentori di armi e quelle del servizio sanitario nazionale, allo scopo di consentire una immediata rilevazione di patologie o assunzioni di farmaci incompatibili con il possesso di armi: questo dovrebbe consentire un rafforzamento della sicurezza pubblica, senza costi aggiuntivi per i possessori di armi, oltre alle già gravose visite mediche per il rilascio o il rinnovo di un porto d’armi.
Molto positiva anche l’indicazione contenuta nel punto “i” di prevedere la detenzione di armi di categoria A6 e A7 anche ai soggetti in possesso di licenza di collezione.
A fronte di queste indicazioni sicuramente condivisibili, ve ne sono però altre che potrebbero dar luogo a difficoltà per il settore: una di queste è quella contenuta nel punto “h”, nella quale si auspica il ripristino del “diretto controllo sull’immissione delle stesse (le armi, ndr) nel territorio nazionale da parte del ministero dell’Interno (come esercitato in passato mediante il catalogo nazionale di cui all’art. 7 della predetta legge n. 110/75, anche al fine di chiarire l’interpretazione per le categorie dei collezionisti e dei tiratori sportivi”. Una “commissione consultiva centrale bis” o, in alternativa, una gestione ministeriale della classificazione delle armi in luogo del Banco di prova porterebbe al ripetersi di ben precise situazioni limite che si erano verificate fino al 2011 (anno in cui fu soppresso il catalogo), prima fra tutte l’enorme dilatazione dei tempi occorrenti per la definizione delle pratiche da parte di produttori e importatori, che potevano anche arrivare a un anno.
È probabilmente condivisibile il fatto che si suggerisca al governo di prevedere apposite licenze di polizia per i vettori autorizzati al trasporto di armi, certo però è penalizzante per le A6 e A7 che si preveda che le armi di categoria “A” sia obbligatoria la scorta da parte delle guardie giurate (punto “l”). I costi di tali armi, quindi, sarà prevedibile che aumentino.
Appare anche poco comprensibile l’indicazione di cui al punto “c” del documento, nel quale si consiglia che lo schema di decreto mantenga la facoltà di determinare il numero massimo di munizioni acquistabili nel periodo di validità della licenza di porto d’armi “in capo al ministero dell’Interno”: il ministero per la verità non ci risulta abbia mai avuto a livello “centralizzato” tale facoltà, che è sempre stata riconosciuta all’autorità locale di Ps in base all’articolo 9 del Tulps (come peraltro riconosciuto dallo stesso ministero in una apposita circolare sulla materia).
Per quanto riguarda la custodia delle armi, si suggerisce di prevedere “l’adozione di misure minime di tutela delle armi uniformi sull’intero territorio nazionale, salvi i poteri in materia già previsti in capo all’autorità di pubblica sicurezza” (punto “m”).
La nota maggiormente stonata, a nostro avviso, è costituita dall’ultimo punto, cioè il punto “n”: “valuti infine il governo, anche in relazione ai recenti fatti che hanno messo in luce i rischi di un abuso di tali strumenti, l’opportunità di inserire disposizioni concernenti la tracciabilità delle armi da sparo a modesta capacità offensiva”.
Al di là del fatto che i “recenti fatti” non riguardavano l’eventuale “clandestinità” delle armi ad aria compressa, bensì un loro impiego improprio, è opportuno sottolineare che oggi è già prevista una tracciabilità di tali strumenti, atteso il fatto che i primi acquirenti devono necessariamente essere identificati in armeria (con annotazione sul registro delle operazioni giornaliere) e che ogni successivo passaggio di mano deve essere effettuato mediante scrittura privata.
Non vi è traccia, infine, di suggerimenti correttivi in merito alle evidenti sperequazioni tra la legislazione italiana e quella degli altri Paesi Ue, in particolare relativamente alle armi corte in 9 parabellum e alla disciplina delle armi bianche. Si dirà che tali materie non erano contemplate nella direttiva, ma d’altronde non lo è neppure quella delle aria compressa di modesta capacità offensiva, fermo restando che le semplificazioni e razionalizzazioni della circolazione delle merci in ambito Ue può, anzi deve, sempre trovare accoglimento negli ordinamenti interni.
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