Mega scoop del quotidiano La Stampa di Torino, pubblicato questa mattina: Giovanbattista Fazzolari di Fratelli d’Italia, sottosegretario alla presidenza del consiglio e tra i più stretti collaboratori della presidente Giorgia Meloni, in una conversazione “carpita” a Palazzo Chigi con il generale Franco Federici (consigliere militare del presidente del Consiglio), avrebbe proposto nientemeno che di insegnare il Tiro a segno nelle scuole! Orrore! Anzi, “ovvove”, come si direbbe nei salotti buoni, con impostazione blesa d’ordinanza e mignolo disteso.
Il giornalista spiega: “l’idea di Fazzolari, immaginiamo, è di portare gli studenti al poligono per farli esercitare. Un po’ come fanno con il pallone, nei campetti di basket, calcio e pallavolo. Solo che in questo caso imbraccerebbero una pistola”. Collega, cominciamo male, la pistola non si imbraccia, si impugna… ma vabbé. Andiamo oltre. Per rendere ancor più immaginifica e “temibile” la notizia, si è scomodato nella pagina a fronte nientemeno che il professor Paolo Crepet, il quale a ruota libera spiega quanto l’idea di insegnare il Tiro a segno ai ragazzi sia “un’idea a dir poco inquietante”, sottolineando che “il fatto che introdurre quest’attività nelle scuole significa consigliare di prendere una pistola e sparare. E mi domando come sia possibile ipotizzare una cosa del genere, mentre ci sarebbero molte altre materie importanti da introdurre nelle aule, teatro, cucina, fotografia, danza”.
Procediamo con ordine: per quanto riguarda il “succo” della notizia, ovvero il fatto che Fazzolari abbia o meno svolto quelle dichiarazioni, è prontamente giunta la smentita del diretto interessato: “L’articolo apparso oggi sul quotidiano La Stampa nel quale si sostiene che io vorrei “insegnare a sparare nelle scuole” è ridicolo e infondato. La chiacchierata tra me e il generale Federici, consigliere militare del presidente Meloni, che il giornalista crede di aver carpito come uno scoop verteva su tutt’altro. La necessità di fornire maggiori risorse per l’addestramento di Forze armate e Forze di polizia e oltre a ciò l’ipotesi di prevedere un canale privilegiato di assunzione in questi corpi dello Stato per gli atleti di discipline sportive reputate attinenti, anche se non olimpiche, quali paracadutismo, alpinismo e discipline di tiro. Due misure alle quali lavoreremo al più presto”.
Al di là di questo aspetto (e di eventuali contro-smentite da parte di chi ha realizzato lo scoop), ci sono un paio di cosette che rendono ancor più ridicola, anzi doppiamente ridicola, tutta la faccenda. La prima è che, nel silenzio assordante dei “paladini degli studenti”, pochi giorni fa è stato lanciato ufficialmente da parte della Fitav (Federazione italiana Tiro a volo) il progetto Care (acronimo di “Cultura, Autocontrollo, Regole, Emozioni”, e vi preghiamo di credere che nessuna di queste parole è scelta a caso, men che meno si trova fuori posto in un campo di tiro), che si propone proprio di portare lo sport del Tiro a volo (che in quel caso sì, almeno, si imbraccia qualcosa…) negli istituti scolastici di primo e secondo grado (in pratica medie e superiori). Come mai lì nessuno si è scandalizzato? Forse perché in quel caso l’eventuale promotore non è un politico “fascista”? Ai posteri l’ardua sentenza.
La seconda cosetta, tutt’altro che secondaria, è che giornalisti e professori potranno anche pensarla come vogliono. Se, tuttavia, pensano di poterci convincere che gli sport del tiro (a segno o a volo o quello che vi pare) siano “inquietanti”, forse è il caso che almeno una volta nella loro vita si facciano un giro in un poligono o in un campo di tiro. Avranno così, magari, l’occasione di vedere uno sport nel quale il doping è praticamente sconosciuto, nel quale genitori e figli possono gareggiare insieme, così come normodotati e diversamente abili. Gli sport del tiro sono fatti di regole, autocontrollo, rispetto. Nessuno alza la voce, non c’è il fenomeno degli ultras e, soprattutto, non c’è quel fenomeno delizioso (che evidentemente per i Crepet e i giornalisti de La Stampa è da incoraggiare) dei genitori che, al campetto di calcio, gridano al proprio giovin virgulto “spaccagli le gambe aqqquello”. Ecco, quello sì che è educativo.
Potete raccontarla come volete. Potete assumere un’aria professorale quanto vi pare. Ma siete, e rimanete, ridicoli.