La caccia fa bene alle specie, non possiamo che dire così leggendo i risultati di un convegno svoltosi all’università di Teramo intitolato “Il cinghiale e il territorio: dalla ricerca scientifica alla gestione“, che pretenderebbe di evidenziare le storture che vengono applicate nella gestione dell’ungulato. Un eminente professore, Andrea Mazzatenta, alla fine di una lunga dissertazione corroborata da studi effettuati presso lo stesso ateneo, dichiara che sarebbe proprio la caccia in braccata a far aumentare la specie cinghiale. Secondo lo studio, infatti, nel caso venga abbattuta la matriarca di un branco di cinghiali, le femmine più giovani tendono ad aumentare la loro spinta riproduttiva e a riprodursi maggiormente. Quindi, sempre secondo lo studio, avere più piccoli sarebbe una strategia di sopravvivenza degli ungulati, per cui, per far diminuire nuovamente la specie, bisognerebbe proibire assolutamente la braccata.
l’Ispra, invece, ha più volte smentito tale tesi, con numerosissime ricerche sul campo e studi effettuati per decine di anni nei più disparati ambienti. Ed è proprio Barbara Franzetti, ricercatrice Ispra specializzata sul cinghiale, che prendendo la parola in un altro convegno dal titolo “Carni di selvaggina: sicurezza alimentare e salute umana” ha ribadito che «non c’è nessuna prova di tale tesi. Nessuno studio ha rilevato e confermato la teoria della matriarca, la femmina adulta che riuscirebbe a regolare l’estro delle altre femmine e quindi la riproduzione delle stesse». E dice ancora «i cinghiali come i topi, tendono a riprodursi massimizzando le possibilità di far nascere i piccoli in ragione della disponibilità di cibo. Quindi non solo la matriarca, ma tutte le femmine in età fertile si accoppiano anche con più maschi, proprio per massimizzare la possibilità di riprodursi». Continua dicendo che è vero che la braccata destruttura la popolazione, specialmente quando ci si focalizza nell’abbattimento dei maschi adulti, i cosiddetti esemplari “da trofeo”, ma dichiara che purtroppo la caccia non riesce a eliminare la quantità di animali che dovrebbe. Per avere una diminuzione effettiva della popolazione di cinghiali bisognerebbe arrivare al prelievo dell’80% della popolazione presente in natura.
Chi pratica la caccia e i cinghiali li vede sul campo, anziché nelle aule, ha cognizione del fatto che i branchi formati da una femmina anziana e femmine più giovani sono normalmente avvistati con decine di piccoli per ognuna delle femmine in età riproduttiva che compongono il branco. È vero che in ogni branco c’è sempre una femmina più grossa e anziana, colei che guida il gruppo, che sa dove trovare il cibo, l’acqua, i luoghi di insoglio e i rifugi, ma tutte le altre femmine hanno lo stesso i loro piccoli senza chiedere il permesso a nessuno. È vero, tuttavia, che un branco privato della femmina anziana si troverà spaesato e per un po’ senza guida, ragion per cui sarebbe bene non abbattere la matriarca.
Il problema successivo è che sicuramente la braccata non fa abbattimenti selettivi e destruttura la popolazione, ma l’aumento del cinghiale è causato dall’immensa quantità di ambiente e nutrimento che ha a disposizione e per aiutarlo a riprodursi di più l’animalismo incompetente ha circondato le città di zone protette, parchi, zone natura e aree di rispetto, dove gli animali hanno vita facile.