Non sono le prefetture a poter stabilire come possa, o meglio debba, farsi pagare un cittadino. O meglio, le prefetture non possono negare il porto d’armi per difesa personale a un cittadino che indichi come “dimostrato bisogno” il fatto di ricevere pagamenti in contanti dalla propria clientela, con la motivazione che “può farsi pagare con i sistemi elettronici di pagamento”. Per quanto possa sembrare incredibile, infatti, nel corso degli ultimi anni questa motivazione è stata utilizzata da svariate prefetture per negare il rilascio o il rinnovo del porto d’armi per difesa personale, malgrado sia noto anche ai sassi che nel momento in cui un cliente intenda pagare in contanti, il fornitore non può rifiutarsi di accettare la moneta corrente dello Stato.
Malgrado l’evidenza, la casistica di queste motivazioni da parte delle prefetture si è ingrandita negli anni, fintanto che un cittadino ha fatto ricorso al Tar Toscana, facendosi dare ragione. A quel punto il ministero dell’Interno ha deciso di adire in secondo grado il Consiglio di Stato, il quale tuttavia nella sostanza ha confermato la sentenza del Tar.
La sentenza è la n. 441 emessa dalla sezione terza del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, pubblicata il 14 gennaio 2021: “Come condivisibilmente sostenuto dal Tar”, si legge nella sentenza, “la motivazione addotta dall’amministrazione a sostegno del diniego di rinnovo appare al collegio generica e non coerentemente calibrata sulle peculiarità del caso concreto: il provvedimento si limita a effettuare un generico riferimento, da un alto, alla pur sempre possibile attivazione di sistemi di vigilanza privata, che potrebbero peraltro risultare particolarmente onerosi nelle condizioni indicate dal richiedente e, dall’altro, alla diffusione degli strumenti alternativi di pagamento, senza considerare che gli stessi non sono ad oggi obbligatori al di sotto di determinati importi, sicché non può pretendersi dall’appellato che riesca ad imporre l’utilizzo ai suoi numerosi clienti. L’amministrazione avrebbe al più dovuto, e in questo si ravvista un’evidente inadeguatezza istruttoria, acquisire dall’interessato la documentazione concernente il pregresso numero ed importo delle transazioni e delle relative modalità di pagamento. Nella fattispecie considerata non è, quindi, controverso il potere dell’amministrazione di mutare orientamento in ordine all’autorizzazione al porto d’armi per difesa personale. Ciò che non è consentito è di farlo sulla base di una motivazione svolta non tenendo conto delle normali e specifiche modalità di conduzione delle operazioni commerciali”.