Qualsiasi appassionato, cacciatore, collezionista, sa perfettamente che quando (e per fortuna i casi sono rarissimi, in rapporto al numero di cittadini possessori legali di armi) un detentore legale di armi commette un delitto con le armi in questione, è solo questione di tempo prima che si scateni la “caccia alle streghe” che investe come uno tsunami tutta la categoria. Così è regolarmente accaduto anche nel caso della tragedia avvenuta a Nuoro, nella quale un padre e marito ha colpito a morte i propri famigliari per poi rivolgere la stessa arma su sé stesso. Neanche il tempo di far raffreddare i corpi, che già i professionisti dell’informazione (a senso unico, rigorosamente) dedicano le trasmissioni di approfondimento a quanto sia “facile” ottenere il porto d’armi “sportivo” in Italia ma, soprattutto, a quanto sia “strano” che a fronte del numero complessivo di porti d’arma “sportivi” rilasciati, così pochi in realtà siano iscritti alle federazioni sportive del Coni. La logica conclusione dei giornalisti è che a questo punto la maggior parte di coloro i quali fa il porto d’armi “sportivo” non lo fa per praticare lo sport bensì “per altro”, cioè (delitto inammissibile) per la “difesa personale”.
Avete un senso di deja vu? Eh, sì, sono proprio le stesse propalazioni che vengono “suggerite” ai giornalisti da anni, in particolare da una nota associazione per il disarmo. E come ormai da anni facciamo, ancora una volta di più tocca di spiegare (ma solo tra noialtri, perché i professionisti dell’informazione non hanno evidentemente alcun interesse a cercare verifica alle informazioni, men che meno sentire campane diverse) perché sono informazioni distorte.
Partiamo dalla base: il fatto che molti dei possessori di un porto d’armi “sportivo” non siano iscritti alle federazioni sportive è perfettamente normale, nel momento in cui l’iscrizione a una federazione sportiva è necessaria per praticare il tiro a livello agonistico, non certo a livello ricreativo-amatoriale. Questo vale sia per chi è iscritto al Tiro a segno nazionale (anche se è vero che alcuni Tsn obbligano anche gli iscritti volontari che non fanno le gare, ad avere la tessera Uits, ma per fortuna sono una minoranza), a maggior ragione per chi frequenta i campi di tiro privati (e a livello di tiro con la pistola o con le carabine a canna rigata, oggi sono la maggioranza, e non è questa la sede per spiegare i molti motivi che hanno portato a ciò). Stiamo parlando di migliaia di persone, non di tre o quattro “dissidenti” delle federazioni. Se qualcuno di coloro i quali diffondono certe informazioni si fosse mai preoccupato di recarsi di persona in uno dei suddetti campi di tiro privati, probabilmente lo saprebbe.
A questi numeri si aggiungono coloro i quali hanno il porto d’armi “sportivo” perché sono semplici collezionisti (giacché la licenza di collezione NON è un titolo valido per l’acquisto di armi ma serve solo ad autorizzare la loro detenzione), coloro i quali hanno il porto d’armi sportivo perché fa punteggio per i concorsi pubblici per entrare nelle forze dell’ordine o nelle forze armate e così via.
Il problema, tuttavia, è un altro, e se possibile rappresenta un fatto ancora più grave: quello in base al quale si “deve” criminalizzare una intera categoria di cittadini, per ragioni che sono di tipo ideologico e non di tipo realistico. In altre parole: che cos’è il porto d’armi “sportivo”? Come il porto d’armi da caccia, è una licenza. La licenza è una autorizzazione concessa dallo Stato, che certifica una idoneità. Come la patente di guida per l’automobile. Ora, è abbastanza pacifico che una certificazione di idoneità non rappresenta un obbligo di fare o non fare qualcosa: se io ho la patente di guida, non sono di certo obbligato a fare almeno 10 mila chilometri ogni anno con la mia macchina, a pena di vedermela ritirare. Così come, guarda il caso strano, NESSUNO ha mai sollevato il problema della potenziale “pericolosità” di chi, essendo in possesso del porto d’armi da caccia, decida di non andarci, a caccia. E la cosa è talmente “codificata” che ci sono specifiche norme di legge che autorizzano a non pagare la tassa di concessione governativa se non si va a caccia. Lì, tuttavia, nessun problema. Così come, per quanto siano diventati restrittivi i requisiti per il rilascio del porto d’armi per difesa, a nessuno verrebbe in mente di subordinarne il rinnovo a patto che il titolare sia sopravvissuto, ogni anno, ad almeno un conflitto a fuoco con i rapinatori, ovviamente uccidendo almeno un rapinatore!
Guarda la combinazione, il problema invece si pone per chi ha il porto d’armi “sportivo”: non aver dovuto dimostrare a una commissione, di sapere che differenza c’è tra un tordo o una quaglia (perché questa è la differenza tra il porto d’armi “sportivo” e quello da caccia, non altro), rende evidentemente il richiedente un potenziale assassino. E pazienza se basterebbe la quinta elementare per accostare il numero complessivo di licenze in corso di validità con il numero di casi come quello di Nuoro che si verificano in Italia, per capire da sé che i controlli da parte dell’autorità di pubblica sicurezza nei confronti dei detentori legali di armi ci sono, sono capillari e funzionano: non sarebbe funzionale alla narrazione. Ci avete mai fatto caso? In queste trasmissioni non viene praticamente mai intervistato un funzionario delle forze dell’ordine, per approfondire come e in che modo vengano svolti i controlli da parte dell’autorità di pubblica sicurezza. Eppure i tribunali amministrativi traboccano di ricorsi da parte di cittadini che si sono visti ritirare le armi e le licenze con le motivazioni più assurde! Anche in questo caso, ovviamente, silenzio di tomba: non è funzionale alla narrazione. Men che meno veniamo interpellato noialtri (non che sia obbligatorio, ci mancherebbe), che non abbiamo alcuna presunzione di essere capaci di fare il nostro mestiere, ma possiamo quantomeno affermare senza tema di smentita di aver visto qualche poligono in vita nostra. E il problema, evidentemente, è proprio quello…
Ci sia consentito, a chiusura di questo ennesimo (e perfettamente inutile, lo sappiamo benissimo) riassunto della realtà dei fatti, una chiosa politicamente scorretta: come mai, quando in Italia delinque uno straniero, magari persino irregolare, tutti si affannano a sottolineare in modo persino minaccioso che si tratta “di un singolo caso” e che in alcun modo si è autorizzati a generalizzare, e quando invece si parla di un legale detentore di armi la responsabilità è sempre generalizzata di tutta la categoria? Altra domanda (provocatoria e paradossale, è ovvio) destinata a restare senza risposta: come mai, quando il ragazzo 17enne a Paderno Dugnano ha sterminato la propria famiglia usando un coltello, non ci si intrattiene sulla “eccessiva diffusione” dei coltelli nelle case degli italiani? Forse che i morti per coltello sono meno morti degli altri? Di certo non è perché i giornalisti generalisti abbiano un briciolo di senso del ridicolo…