Uno degli elementi contenuti nei rispettivi ddl restrittivi in materia di armi, presentati alla Camera, di cui i deputati Riccardo Magi e Walter Verini sono apparentemente più fieri, è relativo al famigerato “obbligo di avviso ai conviventi”, che in pratica serve a obbligare chiunque voglia richiedere una autorizzazione in materia di armi, ad avvisare i conviventi maggiorenni. Questo, in teoria, dovrebbe servire a “mettere sull’avviso” i soggetti più deboli di un gruppo famigliare o di una coppia, nel caso vi siano già tensioni e criticità intra-famigliari, portando questi soggetti più deboli a denunciare situazioni limite (o magari, già ben oltre il limite) prima che possa verificarsi l’irreparabile.
Questo obbligo di avviso per la verità è previsto già da oltre 10 anni nel nostro ordinamento giuridico, essendo stato introdotto con il decreto legislativo 204 del 2010, che all’articolo 3 ha modificato l’articolo 35 del Tulps come segue: “Il provvedimento con cui viene rilasciato il nulla osta all’acquisto delle armi, nonché quello che consente l’acquisizione, a qualsiasi titolo, della disponibilità di un’arma devono essere comunicati, a cura dell’interessato, ai conviventi maggiorenni, anche diversi dai familiari, compreso il convivente more uxorio, individuati dal regolamento e indicati dallo stesso interessato all’atto dell’istanza, secondo le modalità definite nel medesimo regolamento. In caso di violazione degli obblighi previsti in attuazione del presente comma, si applica la sanzione amministrativa da 2.000 euro a 10.000 euro. Può essere disposta, altresì, la revoca della licenza o del nulla osta alla detenzione”.
La norma, in sé e per sé, è piuttosto semplice ma, come accade spesso, subordina l’effettiva concretizzazione della sua efficacia all’emanazione di un decreto attuativo, che contenga il regolamento al quale si fa accenno nella stessa legge. Decreto che dovrebbe servire sia a identificare con precisione quali siano i conviventi maggiorenni, diversi dai familiari, oggetto dell’obbligo di avviso (per esempio: è necessario risultare un unico nucleo famigliare nello stato di famiglia? O basta una convivenza di fatto?), sia a chiarire quali siano le modalità in base alle quali questo avviso debba essere effettuato. Sta di fatto che, a oggi, quindi a oltre 10 anni di distanza dall’entrata in vigore del decreto legislativo 204 del 2010, il regolamento non è mai stato emanato. Uno dei principali problemi che riguardano la mancata emanazione del regolamento consiste nell’obiettiva difficoltà nel tracciare una procedura che consenta a chi presenta l’istanza per il nulla osta o il porto d’armi di dimostrare di aver adempiuto all’obbligo di avviso, senza che ciò richieda una azione attiva da parte del soggetto che dovrebbe essere avvisato. Perché è così complicato? Be’, pensate per esempio all’invio di una raccomandata: il marito spedisce la raccomandata al proprio stesso indirizzo, destinata alla moglie. Arriva il postino e lascia l’avviso. La moglie però non ritira la raccomandata che, scaduti i 30 giorni di giacenza, torna al mittente. A questo punto, si può considerare che il marito abbia adempiuto all’obbligo? In realtà no, perché la moglie la raccomandata non l’ha ritirata. Né si può obbligarla a farlo! Parliamo di un Sms? O un messaggio Whatsapp? E chi può confermare che il destinatario del messaggio sia effettivamente il cellulare del o della convivente? E via discorrendo. Insomma, guardando ai diritti sanciti dalla Costituzione, esistono specifici paletti che non sono superabili in modo così banale come si vorrebbe.
A gamba tesa
In questa situazione si vanno a sovrapporre le proposte presentate dal deputato Pd Walther Verini e dal deputato di +Europa Riccardo Magi, con due distinti disegni di legge, rispettivamente il n. 3218 e 3369.
Partiamo con quello di Verini, che innanzi tutto si preoccupa (giustamente, vista l’attenzione che il suo partito rivolge a questi temi) di aggiungere, oltre all’obbligo di avviso al convivente more uxorio anche quello nei confronti “dell’altra parte dell’unione civile”. Già obiettivamente l’indicazione del convivente more uxorio risulta superflua e ridondante rispetto a quella dei generici conviventi maggiorenni (un convivente è un convivente, non si capisce che differenza faccia se ci faccio sesso oppure no), figurarsi quello della “altra parte dell’unione civile”. Però, ciascuno ha le sue priorità. Il ddl Verini però aggiunge che l’obbligo di avviso deve essere adempiuto, in relazione alla convivenza, “anche se cessata, nonché a chi sia o sia stato legato da convivenza o da stabile relazione affettiva”. In pratica, invece di fornire un contributo utile alla risoluzione del problema principale relativo all’avviso dei conviventi maggiorenni, si introduce un ulteriore fattore critico: quello secondo il quale l’autorità di pubblica sicurezza, non si sa in base a quali poteri medianici o profetici, dovrebbe essere in grado di conoscere e rintracciare tutte le ex fidanzate o gli ex fidanzati di chi richieda un porto d’armi, per contattarli tutti allo scopo di verificare che li abbia avvisati del fatto che vuol prendere un porto d’armi! Il tutto, andando a ritroso nel tempo fino al compimento della maggiore età. E sì, perché non essendo stato previsto alcun tipo di limite temporale, è chiaro che se un cittadino che oggi ha (ipotesi) settant’anni è stato ufficialmente “fidanzato” all’età di 18 anni con una coetanea (magari andando a convivere per un anno), bisognerà andare a cercarla per avvisarla del fatto che vuol fare il porto d’armi! Altrimenti, non glielo si può concedere. Vi pare possibile una cosa del genere? Decisamente, i parlamentari firmatari di questo ddl hanno grande considerazione per la capacità di covare rancore per mezzo secolo di un ex tradito o scaricato alla bell’e meglio…
Ed è proprio il fatto che si parli di “stabile relazione affettiva” e non di “convivenza” che estende in pratica all’infinito il raggio d’azione di questo obbligo di avviso: non solo a chi abbia effettivamente concretizzato una convivenza (quindi, quantomeno, con l’aver stabilito la propria residenza nello stesso luogo, elemento quantomeno tutto sommato verificabile storicamente), ma anche a un semplice “fidanzato/a”. Poi cosa vuol dire “stabile”? Che sia durato almeno sei mesi? Un anno? Bastano due mesi, ma quantomeno bisognava essersi scambiati gli anelli di fidanzamento? Ma poi: esiste, in effetti, una definizione giuridica di “stabile relazione affettiva”? In realtà sì, esiste (vagamente…), in altri ambiti quali quello del diritto civile per quanto riguarda la cessazione dell’obbligo di mantenimento dell’ex coniuge, per esempio, e normalmente coincide con il concetto di coabitazione, quindi ancora una volta si torna a fornire una indicazione perlomeno ridondante rispetto a quella del concetto di convivenza. Oppure, anche no, perché osservando invece il concetto di “stabile relazione affettiva” inaugurato con le norme sul lockdown (per esentare i fidanzati e non solo gli sposi dal divieto di circolazione), si osserva che invece la coabitazione non è un elemento fondamentale. Contano, invece, le testimonianze di amici o parenti sul fatto che i due siano (o, a questo punto, siano stati) “intimi”. Vi rendete conto?
Alla fin fine, tuttavia, si torna sempre all’interrogativo principale: vi sembra una cosa ben fatta? Vi sembra una cosa che gli operatori della pubblica sicurezza, così come è scritta, siano in grado di gestire con efficacia? E se gli operatori non sono in grado di risalire agli “stabili legami affettivi” del latin lover o della femme fatale di turno… a cosa serve questa norma? E comunque, ancora non si è capito come, di grazia, dovrebbe essere fatto questo avviso!
Con Magi, gran finale
È con il ddl n. 3369 di Riccardo Magi, tuttavia, che si raggiunge il top: secondo il piano predisposto dal deputato, infatti, l’articolo del Tulps dovrebbe essere così modificato: “Ai fini del rilascio del nulla osta all’acquisto delle armi o del provvedimento che consente l’acquisizione, a qualsiasi titolo, della disponibilità di un’arma, entro i sette giorni successivi alla data di presentazione della domanda i conviventi maggiorenni, anche diversi dai familiari, compreso il convivente more uxorio del richiedente, dichiarano per iscritto alla questura di aver ricevuto comunicazione dell’istanza da parte dello stesso richiedente e indicano eventuali motivi ostativi al rilascio del provvedimento”.
Avete capito? No? Ve lo spieghiamo: in pratica secondo il deputato di +Europa, se uno (o una) è sposato o convivente o ha figli maggiorenni in casa, nel momento in cui chiede il porto d’armi non solo deve avvisare i conviventi in questione, ma dovrebbe anche “costringere” i conviventi in questione a scrivere, come fosse una letterina di Babbo Natale, alla questura confermando di essere stati avvisati. Ora, supponiamo per un istante (ma non capiterà mai…. No?) che la moglie/marito/convivente/figli vi rispondano: “ma se il porto d’armi lo fai tu, perché devi rompere le scatole a me con cose da scrivere e spedire alla questura? Scrivigli te!”. Oppure (altra ipotesi remotissima…) la moglie/marito/convivente potrebbe dire: “va bene, vado in questura a presentare la mia comunicazione entro 7 giorni… però devo prendere un permesso dal lavoro e guarda caso vicino alla questura c’è quella boutique tanto carina che vende quella borsa che mi piace tanto… costa solo 2 mila euro, cosa vuoi che sia?”.
In pratica, pretendendo che i conviventi maggiorenni debbano svolgere una azione “attiva” in risposta all’avviso obbligatorio da parte del richiedente il porto d’armi, si pone quest’ultimo direttamente nelle mani dei conviventi stessi, soggetto a ogni genere e possibilità di ricatto. Facciamo anche un’altra ipotesi: poniamo il caso che il maggiorenne convivente non riesca a rispettare il termine di 7 giorni. Cosa accade? Si rifiuta la richiesta di porto d’armi avanzata dal cittadino X a causa di quello che ha fatto, o meglio non ha fatto, il cittadino Y? Quindi, in sostanza, gli aspiranti possessori di armi vengono automaticamente posti sotto la tutela legale dei conviventi? Ma siamo impazziti o cosa?
Ma poi… alla fine?
Leggendo i testi dei due ddl in questione si ha l’impressione (ma siamo certi che non sia così) che i deputati che hanno firmato questi testi non solo non si siano, evidentemente, neanche lontanamente posti il problema delle applicazioni pratiche delle loro idee, ma anche che non abbiano mai letto la Costituzione della Repubblica italiana né tantomeno ne abbiano compreso i princìpi. Se facessero i parcheggiatori, i salumieri, i cardiochirurghi, gli impiegati di banca, potrebbe non essere un problema. Il problema si manifesta quando, invece, i soggetti in questione fanno i deputati o i senatori e, quindi, hanno il compito di fare le leggi.
Al di là di questo panorama desolante, resta poi anche la domanda senza risposta: l’obbligo di avviso, è in effetti concretamente idoneo a evitare, o quantomeno limitare fortemente, il rischio che le armi legalmente detenute siano utilizzate per fatti di sangue all’interno dell’ambito famigliare? A giudicare dalla casistica riportata dalla cronaca, sembra che in effetti la stragrande maggioranza, anzi totalità dei (per fortuna pochi) casi nei quali un’arma legalmente detenuta sia stata utilizzata per uccidere o ferire un/una convivente o ex compagna/o, le armi fossero detenute da tempo e, quindi, certamente il loro possesso fosse noto alla vittima.
Forse, invece di lambiccarsi il cervello su una questione obiettivamente poco efficace o dall’efficacia residuale, come questa, sarebbe il caso di applicarsi (magari con un po’ meno dilettantismo e un minimo di senso pratico in più) su questioni decisamente più impattanti e gravi, come per esempio la mancanza di comunicazione tra i database dell’anagrafe e quelli della pubblica sicurezza, perché gli uffici di Ps possano essere tempestivamente informati del decesso di un legale detentore di armi, prima che le armi da lui possedute finiscano nelle mani di eredi non idonei, come è accaduto di recente ad Ardea. Vi sembra possibile, o normale, che quando muore un anziano legale detentore di armi, oggi l’Inps lo venga a sapere e la questura invece no? A volte, cercando di spaccare in quattro la pagliuzza, si perde di vista la trave.
È ovvio che non si può avere la pretesa, o la presunzione, che un deputato o senatore si intenda di armi, viabilità stradale, edilizia, antiterrorismo, virologia e chi più ne ha più ne metta. A volte tuttavia già il semplice buon senso può evitare gli svarioni più eclatanti, così come, magari, potrebbe essere produttivo affidarsi a consulenti che, quantomeno, abbiano visto un poligono e un ufficio armi di una questura una volta in vita loro. Cosa che, evidentemente, in questo caso è completamente mancata.