Con sentenza n. 16541 del 24 settembre 2024 la sezione prima stralcio del Tar del Lazio si è occupata del ricorso presentato da un cittadino, al quale è stato revocato il porto di fucile per Tiro a volo ed è stato disposto il divieto di detenzione armi in seguito a una segnalazione alla procura della Repubblica per “essere stato trovato in possesso di un’arma con caratteristiche meccaniche alterate in modo da aumentarne la potenzialità offensiva attraverso l’aumento del numero dei colpi esplodibili (da 2 a 3), per aver introdotto nel Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili armi e munizioni senza la prescritta autorizzazione e per aver esercitato la caccia in periodo di divieto generale”. Segnalazione che poi era sfociata in una condanna con la formula prevista dall’articolo 444 del codice di procedura penale (applicazione della pena su richiesta delle parti, comunemente detto “patteggiamento”.
Il difensore del ricorrente ha motivato il ricorso al Tar contro i provvedimenti di divieto detenzione di armi e di ritiro del porto d’armi argomentando che “l’Amministrazione avrebbe basato la propria valutazione solo sulla sentenza emessa a suo carico ai sensi dell’art. 444 c.p.p. che, tuttavia, non costituirebbe accertamento dei fatti e non avrebbe valorizzato gli elementi desumibili dal caso concreto”.
I giudici hanno tuttavia respinto il ricorso, argomentando che “I fatti che sono stati ritenuti rilevanti dall’amministrazione ai fini della revoca, riconducibili tutti alla mancanza di elementi che attestino l’affidabilità del ricorrente nel buon uso delle armi, non sono stati contestati da parte istante, la cui difesa asserisce che il provvedimento sarebbe fondato su un quadro indiziario e non su fatti accertati in quanto una sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. non costituirebbe accertamento dei fatti, con la conseguenza che l’amministrazione sarebbe tenuta comunque a provare i fatti posti a fondamento della adozione del provvedimento. Nel caso di specie, secondo il ricorrente, nemmeno il Prefetto di Roma avrebbe motivato la revoca della licenza di porto di fucile per tiro al volo non indicando le circostanze a sostegno delle sue conclusioni e l’iter logico argomentativo seguito per giungere alla adozione del provvedimento. Tuttavia, al contrario, i fatti ricordati avallano il giudizio negativo espresso dall’amministrazione, evidenziando un atteggiamento refrattario al rispetto delle norme dettate dall’ordinamento, anche specificatamente in materia di armi. Il provvedimento è dunque legittimo con riguardo alla valutazione in esso contenuta circa l’inaffidabilità del ricorrente, in considerazione del comportamento e dello stile di vita pregresso. (T.A.R. Brescia, sez. II, 04.06.2018, n.533). Anche in presenza di una sentenza di patteggiamento, infatti, l’Autorità di Pubblica sicurezza ha piena facoltà di valutare i fatti compiuti dall’interessato, al limitato fine di valutare il persistere o meno della situazione d’affidamento e che il medesimo non possa abusare del possesso di armi. Priva di fondamento appare la censura relativa all’asserito difetto di motivazione, in quanto nel provvedimento impugnato emerge la discrezionalità dell’amministrazione nel valorizzare nella loro oggettività, non solo i fatti di reato, ma anche vicende e situazioni personali del soggetto interessato, che pur non assumendo rilevanza penale, siano indice di pericolosità, o, comunque, della non completa affidabilità da parte di colui che li ha commessi. Ciò al fine di prevenire per quanto possibile i delitti che potrebbero avere occasione per il fatto che vi sia la disponibilità di armi, in esito a un giudizio prognostico e indiziario sull’affidabilità del soggetto”.